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(quella che esce quando è pronta)
A cura di Antonio Dini
Numero 3 ~ 24 marzo 2019
In questo numero:
CENTO DI QUESTI LAWRENCE
Ha appena compiuto cento anni il poeta americano di origini italiane Lawrence Ferlinghetti. Uno dei primi ricordi che ho di San Francisco, città che amo molto e in cui sono stato molte volte per lavoro e non solo, è la sua libreria City Lights. È diventata una meta di pellegrinaggi regolari e, nonostante non abbia mai incontrato l'uomo, per me è una parte della mia storia.
51NB
A Shenzen, la città cinese di fronte a Hong Kong dove viene fabbricato praticamente qualsiasi pezzo di tecnologia abbiamo nelle nostre case e nelle nostre vite, c'è un gruppetto di hacker che lavora alla produzione di una cosa molto particolare. Si chiamano 51NB e producono piccoli quantitativi di schede madre e modifiche per i vecchi ThinkPad, i portatili super-robusti di Ibm ora di proprietà di Lenovo. Vista la resistenza estrema di quelle macchine, ma anche la facilità con la quale possono essere smontate (bastano due cacciaviti normalissimi) e aggiornate (si può mettere e togliere tutto), viene da pensare che potremmo vivere in un mondo molto, molto diverso per quanto riguarda l'informatica e non solo. Un mondo dove si spreca meno, ad esempio.
MILLELIRE
Un paio di giorni fa, mentre gli studenti del mio corso alla Civica di Milano stavano facendo una esercitazione, mi è cascato l'occhio sul piccolo libro che stava leggendo una studentessa. È un millelire, per la precisione la raccolta di aforismi mai scritti da Andy Warhol La cosa più bella di Firenze è McDonald's (in realtà sono di Matteo B. Bianchi). StampAlternativa non ha più distribuito i millelire, che erano un veicolo virale e pungente di cultura. A quanto pare, perché le librerie (o meglio, le focaccerie, come le chiamano loro, dato che vendono soprattutto cibo) non vogliono libri che costano solo un euro: gli abbassano lo scontrino medio. Ho scoperto però che sono stati messi tutti a disposizione per il download gratuito. Che scorpacciata.
(© Foto di Antonio Dini)
OBBLIGO DI TALENTO
Secondo me non tutti (noi adulti) siamo creativi e non tutti soprattutto abbiamo dei talenti da realizzare. Per questo motivo non amo la retorica mainstream centrata sull’idea di “ciascuno deve realizzare il suo potenziale” che è diventata da mera possibilità un diritto di “essere realizzati”. Mi spiego meglio.
Garry Kasparov, il campione di scacchi oggi autore e benefattore, in un articolo per il Washington Postparla della straordinaria vittoria a scacchi di un bambino di 8 anni originario della Nigeria che vive in una casa-famiglia negli Usa, e del talento. A riguardo del quale, ha una idea piuttosto chiara:
My answer was always the same: Talent is universal, but opportunity is not, and talent cannot thrive in a vacuum. Finding talent is a numbers game — the more players there are, the more excellent ones will be found.
Mi piace l’approccio: dobbiamo lavorare sulle opportunità. Bisogna dare a tutte le persone la possibilità di individuare il proprio eventuale talento, e, a coloro i quali ne hanno, farlo crescere. Sono pochi e difficili da trovare, perché spesso non vengono aiutati da piccoli. Certamente non sono tutti talentuosi. Ma è un obiettivo della società e, in certa misura, un suo beneficio, più che quello dei singoli.
Mi spiego meglio. Kasparov, in un libro uscito pochi mesi fa, Deep thinking: Where Machine Intelligence Ends and Human Creativity Begins, oltre a raccontare il dietro le quinte della sua sconfitta da parte della “macchina” nel 1987 (Ibm Deep Blue, il nonno di Watson), centra il libro su una idea: “technology can make us more human by freeing us to be more creative”.
È uno degli obiettivi, se non l’obiettivo principale, almeno in apparenza, delle nostre società: un ideale verso il quale tendere. Realizzare il nostro potenziale. Essere il più creativi e liberi possibili. Realizzare il nostro talento, proprio come nella parabola del Vangelo di Matteo (25, 14-30). Che però, parla decisamente d’altro: più della rettitudine e della saggezza che non della volontà di esprimere se stessi o di aver successo. Alla società invece il talento e la creatività servono, così come servono le startup. Non è detto che sia così per le persone, messe in gara per realizzare il proprio presunto potenziale. Il costo dell’insuccesso per l’individuo è infatti altissimo. E immotivato. Anche perché il bersaglio, il punto di arrivo, non si sa quale sia.
Oggi infatti i termini e le definizioni sono talmente vaghi che è praticamente impossibile capire cosa voglia dire “avere talento” e “realizzarlo”. E come misurare questo, poi? Con il successo? Con i soldi? Con un senso di appagamento e realizzazione di noi stessi? Con le metriche correnti della società? Ognuno a modo suo, anche se in conflitto con gli altri?
Non mi piace, oltretutto, l’idea che il talento e la creatività siano caratteristiche la cui realizzazione serve a dimostrare la realizzazione dell’individuo. Come dire: talenti obbligatori, e chi non se ne ritrova sappia che non è completo, non è intero.
E se l’obiettivo fosse più semplicemente crescere e diventare saggi? Cosa vorrebbe dire? Essere saggi è una forma di talento o è il punto di uscita di un processo di crescita e di apprendimento che viene da una buona famiglia, da una buona scuola, da una buona società? Oppure questo processo di maturazione interiore è un processo che può andare avanti anche in condizioni avverse? E soprattutto, occorre del talento per diventare saggi? Non ho risposte. Non credo che l’intelligenza artificiale, messa accanto a me per liberarmi e rendermi capace di essere più creativo, sia una risposta. Casomai uno strumento, ma non una risposta.
Un’altra domanda secondo me rilevante è: perché questa ossessiva ricerca del talento e specificamente della creatività? Chi è che trae la vera utilità da questo progetto sociale? Un obiettivo evidente è quello della funzione lavorativa ed economica: in una parola, industriale. Dare una forma così spinta e competitiva all’agire delle persone non ha un effetto positivo sui singoli. È come al casinò: gli scommettitori (i singoli che cercano ossessivamente di realizzare i propri talenti) perdono sempre salvo le solite eccezioni. A vincere è invece il banco, cioè - direbbero i marxisti - l’assetto del capitale.
Invece, se guardiamo meglio, l’impostazione potrebbe essere molto differente.
È un tema straordinariamente complesso le cui coordinate vengono costantemente ridisegnate. Offrire a tutti l’opportunità di sviluppare “la migliore versione di se stessi” con accesso e incentivi ai più meritevoli. Ma anche, rendersi conto che questo non implica automaticamente che tutti abbiamo talento e che tutti dobbiamo raggiungere uno stato incantato di realizzazione della nostra creatività. Anzi.
L’obiettivo dello stato sociale di diritto - quello in cui viviamo dal 1948, al netto dei tentativi ricorrenti di spanconarlo - è quello di tutelare la salute come gli altri diritti di cittadinanza, tra cui il diritto allo studio. Per i meno avvezzi alla nostra Costituzione: l’articolo 34.
È un articolo fondamentale perché prevede gli strumenti necessari a mettere tutti in condizione di realizzare la versione migliore di sé all’interno di una società fondata sul lavoro (e non sulla “felicità”, che è un problema dei singoli, non dello Stato) in cui il merito consente di raggiungere determinati risultati ma in cui lo Stato si impegna anche attivamente a tutelare chi ha bisogno e in generale a rimuovere le barriere per tutti, non solo per quelli bravi, che vanno bene a scuola e hanno un sacco di talento.
Nei primi due commi dell’articolo 34 viene presentato il diritto all’istruzione, che è fondamentale (al punto da essere obbligatorio) per poter creare individui funzionanti all’interno di una società democratica:
La scuola è aperta a tutti.
L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.
E poi nei secondi due commi c’è il diritto allo studio, che è un diritto soggettivo:
I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.
Non basterebbe interpretare, chiarire e realizzare questo? Lo sappiamo da più di 70 anni.
TRIOLET
Al corso sui linguaggi contemporanei che tengo alla Civica scuola di cinema della Fondazione Milano i miei studenti hanno fatto un po' di esercizi. Ad esempio, hanno scritto anche dei triolet su soggetti contemporanei.
Il 18 marzo la Lilla si è fermata,
ha causato disagi per Milano.
La città sembrava quasi imbalsamata,
il 18 marzo la Lilla si è fermata.
L’aula era vuota quando Francesca è arrivata,
avrebbe voluto tornare sul divano.
Il 18 marzo la Lilla si è fermata,
ha causato disagi per Milano.
***
Abbiamo la precisione degli chef del Giappone
scegliamo di addomesticare ogni forma di caos
affettiamo simmetricamente il tonno e il salmone
abbiamo alla precisione degli chef del Giappone
scegliamo di addomesticare ogni forma di caos
abbiamo più dedizione dei guerrieri del Laos
abbiamo la precisione degli chef del Giappone
scegliamo di addomesticare ogni forma di caos
***
Ma perchè oggi è lunedì?
Se potessi lo eliminerei
Qualcuno decise questo un dì
Ma perchè oggi è lunedì?
Da sempre la settimana così esordì
Però uffa, almeno lo sposterei
Ma perchè oggi è lunedì?
Se potessi lo eliminerei
***
Un’ onda rossa si espande da occidente
L’ Europa si prepara a trattare
oggi È risorto un antico potente
un’onda rossa si espande ad oriente
trascina affari miliardari prepotente
militari sul globo continua a portare
un’onda rossa si espande da occidente
l’Europa si prepara a trattare
Ma c'è anche il poeta residente di Mostly, I Write, vale a dire Roberto R. Corsi (che è poi colui il quale ha suggerito la scelta del nome di questi posti)
C'era uno svizzero di nome Rezzonico
Diagnosticato di tratto abbandonico.
Saputo della dipartita del grande coach Mondonico,
Si chiuse in casa: la spesa gliela portava un fonico,
A quell'elvetico, calciofilo, ossessivo Rezzonico.
TSUNDOKU
Quando si comprano libri e non si leggono ma si accumulano e basta, c'è una parola (giapponese) per dirlo
In questi giorni mi sono capitati tra le mani:
- 1000 record cover di Michael Ochs. È un libro di Taschen, ma piccolo. L'argomento sono le copertine dei dischi in vinile dagli anni Cinquanta ai Novanta. Secondo me sono un po' meno di mille, a contarli però ci vuole troppo. L'edizione ha un pregio e un difetto: prezzo e dimensioni contenute.
- L'isola errante vol 1-2 di Kenji Tsuruta, mi è piaciuta. Come tutti i manga, dice in dieci tavole quello che Bonelli direbbe in due, ma lo fa con una poesia che noi ci sogniamo. Se la storia ha, come in questo caso, un vago sapore miyazakiano, è pura poesia. La copertina del primo numero è sublime.
- Generativi di tutto il mondo, unitevi! di Mauro Magatti e Chiara Giaccardi. È il "manifesto per la società dei liberi" che dice in tante e complicate parole (oltretutto con una voce unica, inquietante ancora di più sapendo che Mauro e Chiara sono una coppia nella vita), cose belle e profonde, che meritano più immediatezza.
I link non hanno alcuna affiliazione, puntano solo all'oggetto culturale citato.
END
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