You never change things by fighting the existing reality. To change something, build a new model that makes the existing model obsolete.
– Buckminster Fuller
(Credo che questa diventerà la mia massima preferita, almeno per un po'.)
Summerwalk - Foto © Antonio DIni
In questo numero:
Ho provato varie strategie (filtri e regole del client di posta elettronica, soluzioni solo locali, soluzioni solo cloud, search indiscriminato, con tag, senza tag etc) ma non funziona, almeno per me. Alla fine torno sempre alla mail. E la posta è sempre tantissima, senza contare che devo andare anche a ravanare nella casella dello spam perché, in quanto giornalista, ricevo email rilevanti che provengono da liste di distribuzione e che contengono quello che i filtri automatici antispam interpretano come pubblicità indesiderata e che invece sono i comunicati dei prodotti o dei servizi che potrebbe interessarmi sapere che esistono. Ironicamente, anche molto di quello che riguarda la security o il marketing finisce sempre dritto dritto nella cartella dello spam.
Un giorno ai primi di gennaio mi sono detto: e se provassi ad applicare la GDPR? Nel senso: se anziché cercare attraverso tonnellate di email inutili nello spam e nella inbox mi mettessi d'impegno e, quando disponibile, cliccassi su "Unsubscribe" e dicessi che non voglio più mail da loro? In teoria, fatto il primo giro di cancellazioni i benefici dovrebbero essere quelli di una diminuzione delle email inutili o di spam. Così, negli ultimi tre mesi l'ho fatto quasi tutti i giorni, un pezzettino alla volta, sistematicamente, da bravo ossessivo/compulsivo.
Purtroppo non ho stabilito delle metriche né mi sono messo a contare: è il motivo per cui questa non è una storia di quelle fighe in cui si scopre che la posta non desiderata è diminuta di X% e che il totale della posta da vedere è calata dell'Y%, (magari pure con qualche grafico) e che il tempo che avrò risparmiato, quando un giorno spero lontano mi porteranno in corteo al forno crematorio, l'avrei potuto impiegare -non so– per arrivare a piedi fino a Berlino e tornare (ma solo se avessi camminato di buon passo).
Purtuttavia mi sono spannometricamente reso conto che la mole di posta elettronica nella mia casella di spam è calata in maniera decisamente spettacolare (da "tanta tanta" a "molto molto meno", per chi fosse interessato ai dettagli), e che il flusso di posta quotidiana nella inbox (per la quale seguo la ferrea regola di "inbox zero", nessun messaggio non letto a fine giornata) è diminuito altresì in maniera sensibile. In particolare, beneficio aggiuntivo e non previsto, nello spam adesso ci sono solo mail evidentemente di spam, cioè quelle senza alcun tipo di "unsubscribe" (e inenarrabili per narrazioni e contenuti), cosicché quello che ci finisce per caso adesso spicca di più e faccio prima a recuperarlo.
Un'altra cosa imparata è che alcuni "unsubscribe" sono fatti bene (ti portano a una pagina web che ti dice "ciao"), altri sono faticosi (ti portano a una pagina web in cui devi confermare: "se vuoi proprio dirci ciao pigia qui"), altri furbacchioni (ti portano a una pagina web che ti dice "ciao" e poi "pigia qui se ti sei cancellato per errore"), e altri ancora scorretti (ti portano a una pagina web che ti dice: "ma qual è la mail che volevi cancellare?" e poi spesso: "ok ti abbiamo cancellato, ma per una settimana continuerà probabilmente ad arrivare roba"). Insomma, si imparano cose sulle persone anche a cancellarsi dallo spam e dalle mail non desiderate.
Adesso la mia nuova missione ossessiva/compulsiva è eliminare i doppi invii: tutti quelli che mi mandano la stessa mail più volte o a più di un indirizzo gli rispondo: "Me l'hai mandata due volte, togli il secondo indirizzo/non lo fare più, grazie". Non ci crederete, ma anche qui un altro bel calo di posta inutile. Forse per questa estate ce la faccio a scendere sotto le mille email al giorno. Speriamo.
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VOULEZ VOUS COLLABORER AVEC NOUS?
La tecnologia informatica e le reti hanno rivoluzionato il modo con il quale lavoriamo. Sono decenni che questo è successo, per gradi progressivi, ma adesso siamo arrivati a un punto di svolta. Adesso cambiano i paradigmi. O perlomeno questo è quello che tutti ci stiamo dicendo. Siamo arrivati a digitalizzazione, trasformazione digitale, industria 4.0 e a tutte le altre parole chiave che cercano non tanto di descrivere o di anticipare, quanto di incanalare il cambiamento.
Dropbox - avete presente, l'app e il servizio cloud per tenere una porzione del vostro disco rigido sincronizzata con il cloud e con i vostri altri apparecchi? - ha idee un po' markettare ma interessanti al riguardo: nel blog aziendale spiega che l'eccessiva velocità sta comprimento troppo la voglia e capacità di lavorare delle persone. Il discorso è abbastanza sottile, nelle intenzione di Dropbox, perché torna alla collaborazione (tramite le sue tecnologie) come modo per inventarsi nuovi flussi di lavoro.
A mio modestissimo avviso - dato che poi non lavoro in nessuna azienda - il tema vero sono i "template del futuro", i flussi di lavoro, che dovremmo ripensare integralmente. Partendo dal principio. Banalizzando: non dovremmo più ragionare come se le informazioni debbano avere per forza la forma che la carta ha storicamente assegnato loro. E quindi, quando lavoriamo con le informazioni digitalizzate, il pensiero dovrebbe essere diverso e più libero. La struttura dei dati digitali è differente da quella dei dati amministrati attraverso supporti fisici cartacei. Basta moduli. Basta schemi. Ripensiamo tutto. Collaboriamo ma prima ripensiamo i fondamentali.
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CORSIVO
A lezione una delle mie studentesse è diventata "iPad only": prende appunti sull'iPad Pro 10.5 con la Apple Pencil usando GoodNotes, organizza il materiale con link, foto prese dei lucidi che proietto sullo schermo, ha il riconoscimento della grafia per poter ritrovare i pezzi delle lezioni. E con Keynote si è fatta una serie di template per poter dividere e accedere più facilmente alle varie parti delle lezioni. È anche molto ordinata di suo: ma ero precisino pure io negli appunti delle lezioni e negli schemi che facevo dei libri da studiare. Se tornassi indietro (di un numero di anni che non voglio contare) mi piace pensare che sarebbe anche il mio modo di prendere appunti, anche se preferirei usare Notability.
Collegato a questo c'è il tema della scrittura a mano. A seconda della vostra età e tralasciando chi ha la passione per la calligrafia e chi invece ha una cacografia (ehm, si dice così: κακός γράφειν, cioè "scrivere brutto"), potete appartenenere a una generazione che ha sempre scritto a mano, che ha scritto a mano sino a un certo punto (molto ravvicinato) e poi è arrivato il computer, e a una generazione che ha scritto prevalentemente con il computer, telefonino e via dicendo. Questa di solito è la ragione che viene indicata per spiegare come mai chi si trovi a scrivere a mano adesso spesso ha una grafia illeggibile, soprattutto il corsivo, e tenda a scrivere in stampatello.
Invece questo articolo Josh Giesbrecht per l'Atlantic (ma si legge molto meglio su Pocket) presenta una tesi interessante: non è il computer bensì la penna biro l'oggetto per la scrittura che messo in crisi il corsivo. Perché sino a che si utilizzava la delicata, leggera e fluida penna stilografica (o il pennino) il corsivo si faceva bene e le lettere si legavano bene. Con la penna biro bisogna invece fare più forza, la posizione della mano è meno inclinata e i "legati" del corsivo hanno tutti lo stesso spessore. Insomma, una faticaccia dai risultati discutibili. Come dicevo, una tesi molto intessante.
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UN DRAGO PER AMICO
Oggi, cioè domenica, ricomincia Game of Thrones. La serie televisiva delle meraviglie è al centro delle attenzioni di praticamente tutta la rete. Gli articoli si sprecano. L'Atlantic fa un riassunto spoileroso delle precedenti 67 puntate e 7 stagioni, mentre ribadisce che probabilmente la saga cartacea non vedrà mai un compimento (ma in tv siamo già andati oltre). Ho la sensazione che questa mezza dozzina di episodi che mancano alla fine (sarà un'ultima stagione parecchio breve) potrebbero non essere all'altezza. Ma magari mi sbaglio. Tuttavia, dalla stagione numero sei, quando non è rimasto più materiale originale di George R. R. Martin, gli showrunner David Benioff e D.B. Weiss ci si sono messi d'impegno per inventarsi una strada e un epilogo. Ma ma finora non è stata la stessa cosa. È mancata logica e coerenza, è mancata profondità. Speriamo si redimano alla fine,
L'inverno è arrivato - Foto © Antonio Dini
TSUNDOKU
Quando si comprano libri e non si leggono ma si accumulano e basta, c'è una parola (giapponese) per dirlo
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