August 23, 2020

[Mostly Weekly #77] Solo e sempre in villeggiatura?

Mostly Weekly #77

Solo e sempre in villeggiatura?

La newsletter omonima a margine del canale Telegram
(quella che esce quando è pronta)

A cura di Antonio Dini
Numero 77 ~ 23 agosto 2020 



"A person’s epitaph was written when his or her last battle was fought"
– Joe Biden 

 

* * *


Come già detto, sono più o meno sempre in villeggiatura. Ma non mollo. Tornato in possesso del fidato MacBook Pro, famiglia e stanchezza permettendo, perlopiù scrivo. L'unica cosa, ho fatto saltare lo schema tradizionale di Mostly Weekly per ripulirmi le sinapsi e rimettere in moto la fantasia. Infatti, sto lavorando ad alcune novità strutturali (spero) per settembre. Tra le altre cose, ho deciso anche di mettere una affiliazione alle segnalazioni dei libri e della musica, mantenendo però sempre l'autonomia delle mie scelte: nessuno mi paga per scegliere un libro o altro. Gli acquirenti del libro di Culicchia più sotto avranno l'onore di poter essere i primi a contribuire al mantenimento di Mostly Weekly. Che ne pensate?

Intanto, buona lettura.


 

Back to Paradise City – Foto © Antonio Dini

 

Generale la guerra è finita
Il nemico è scappato, è vinto, è battuto

Com'è andata a finire la guerra dei browser? E quella per il controllo del web? Ci sono due errori che sono stati fatti quando è stato creato il web che hanno consentito a Google di prenderne sostanzialmente il controllo. Il primo è la mancanza di un meccanismo di ricerca nativo e distribuito, e il secondo è un modo nativo, sicuro e distribuito per scambiarsi soldi.

I padri fondatori del web erano talmente presi bene dall'idea degli hyperlink che non hanno pensato al fatto che le persone in realtà avrebbero voluto cercare le cose, prima di saltare da una all'altra. Non a caso le primissime aziende a emergere sono stati i siti di public bookmarking. Poi sono arrivati anche i social media e hanno cancellato tutti gli spazi possibili che restavano nel web.

Invece, la mancanza dei sistemi di pagamento distribuiti ha impedito la nascita di un modello economico nativo basato sulla compravendita. Per questo è nato un modello basato sulla pubblicità e la monetizzazione degli utenti: la maggior parte dei servizi (dalle notizie alla casella di posta elettronica) sono gratuite perché non c'era un altro modo ragionevole per farle pagare. È il motivo per cui oggi la pubblicità e la monetizzazione degli utenti dominano.

Infine, se vogliamo aggiungere un terzo errore dei padri fondatori del web (Sì, Sir Tim Berners-Lee, penso anche e soprattutto a te), è stato quello della mancanza di un supporto distribuito e nativo per il video. Il web è stato pensato come a una cosa fatta di testi e, al limite, di immagini. Invece, le persone sono abituate a usare gli schermi soprattutto per vedere la televisione, cioè immagini in movimento. Non implementare il video in modo nativo nel web è stata una omissione tecnologica, un grosso errore e ha portato a conseguenze nefaste.

Quali sono le conseguenze? Google ha replicato il modello del walled garden portato avanti ad esempio da WeChat e Facebook. Solo che il suo giardino recintato è grande come tutto il web. Il suo browser Chrome detta gli standard di base tecnologici del web, mentre Safari e Firefox stanno diventando le uniche voci per le minoranze nello sviluppo delle tecnologie e nelle scelte chiave, come ad esempio autorizzare o no i cookies di terze parti e moderare il tracciamento degli utenti. Google in realtà non ha neanche bisogno di definire troppi standard, perché controlla già la tecnologia alla base dei guadagni del web, cioè AMP: un errore probabilmente mortale, una tecnologia che nessuno voleva e che adesso controlla il 70% delle attività commerciali dei siti web. Senza contare poi che le persone in maggioranza accedono al web dai telefoni e al 75% lo fanno con telefoni Android (ovviamente di Google). La partecipazione dei vertici delle organizzazioni del mondo open source alla costruzione di queste piattaforme (ricerca, browser, video e telefoni) è profondamente colpevole e a mio avviso anche ipocrita.

Infatti, Google controlla la ricerca del web (anche se oggi nessuno sembra più farci caso) e controlla la principale infrastruttura per la distribuzione del video in rete, cioè YouTube (e anche qui, nessuno sembra farci caso). Controlla inoltre una delle due fette più grandi di fatturato pubblicitario (l'altra è nel giardino recintato di Facebook). E controlla addirittura il sistema operativo e il browser con il quale praticamente la quasi totalità delle persone interagiscono con il web. La conseguenza?

La guerra del web è finita: ha vinto Google alla grande. E non è un bene. 
 

Generale la guerra è finita
Il nemico è scappato, è vinto, è battuto
Dietro la collina non c'è più nessuno
Solo aghi di pino e silenzio e funghi
Buoni da mangiare buoni da seccare
Da farci il sugo quando viene Natale
Quando i bambini piangono
E a dormire non ci vogliono andare 

 

* * *


 

Essere veloci
Nel film Once upon a time in Hollywood Quentin Tarantino fa un regalo a Brad Pitt facendolo scontrare con una versione fortemente depotenziata di Bruce Lee, e lo caratterizza facendo ahimè un torto a quest'ultimo. L'attore sino-americano (nato a San Francisco nel 1940 durante una tournèe della compagnia di recitazione della quale facevano parte i genitori e tornato all'età di tre mesi a Hong Kong) era in realtà una persona diversa da quella rappresentata nel film, e che meriterebbe ancora oggi di essere osservata e capita meglio. 

Questo provino del 1965, quando Lee aveva poco più di 24 anni e già era un artista marziale di livello internazionale e un attore sino a quel momento conosciuto a Hong Kong, secondo me è rivelatorio della personalità dell'attore. Qui lo intervista il produttore della serie televisiva di Batman, William Dozier, che poi lo farà recitare come Kato nella serie tv Il Calabrone Verde e in Batman. Lee non era un arrogante presuntuoso, come lo vorrebbe Tarantino, ma un individuo molto sicuro di sé, con una forte personalità e una forte empatia. Era figlio di una cultura profondamente diversa da quella americana, per la quale i tratti di una personalità forte si esprimono in maniera diversa. Lee però aveva tradotto in modo molto fedele il suo carattere cinese per l'Occidente, facendo una operazione che forse bisognerebbe riguardare ancora oggi, per capire qualcosa di più sulla Cina e su di noi.


Huh!
Quella parola comune a tutte le lingue: huh.

Laaaaaaa
L'estensione vocale dei cantanti rock e pop: la sorpresa sono Axl Rose e Mariah Carey.

WeChat e il Congresso del Partito comunista cinese
Un gruppo di ricercatori ha analizzato com’è andata tra il Congresso del Partito comunista cinese e WeChat, quel gigantesco oggetto non identificato (in Occidente) che in Cina ha assunto il ruolo di gigantesca piattaforma.

Non si butta via mai niente
Tencent, il conglomerato cinese che possiede tra le altre cose anche il WeChat di cui sopra, e che è sotto attacco da parte di Donald Trump (come TikTok), ha una teoria: i deepfakes servono. E per questo non bisogna regolarli troppo. A cosa servono di grazia, direte voi? Semplice, spiegano in questo paper tradotto quelli di Tencent, fanno almeno a cinque cose utili: permettono di migliorare film e telefilm, personalizzare l’intrattenimento (tipo: face swap), migliorare l’e-commerce (modelli virtuali per provare le cose), creare avatar realistici (per i social del futuro) e infine aiutare chi è affetto da malattie croniche a interagire con l’ambiente come se fosse ancora sano e zompettante. Bello eh? La Cina è molto decisa a vincere questa corsa e Tencent fa parte della “nazionale dell’intelligenza artificiale” creata da Pechino. Sono tutti inquadramenti sociali, tutte narrazioni: chi rende dominante la propria ha vinto metà della battaglia.

Nascondersi tra la folla
Una volta il segreto per scomparire era mescolarsi alla folla. Coperti dai volti e dai corpi altrui, si diventava una goccia nel mare, un pesciolino nel branco. Oggi, con il riconoscimento automatico dei volti, questo non solo non è più possibile, ma diventa tremendo. Perché seguendo una persona ovunque si possono ricostruire gli itinerari esistenziali delle persone. Si possono capire le intenzioni. Bisogna fare qualcosa, bloccare il flusso di riconoscimenti. C’è questo dietro all’idea del progetto Fawkes: un tool per “sporcare” le foto di una persona in maniera impercettibile per l’occhio umano, rendendole però irriconoscibile all’occhio della macchina. Intrigante, se diventa un plugin per la fotocamera dell’iPhone festeggerò. 

Fuga da Facebook?
I social media tradizionali sono diventati tossici. Per questo c’è un risveglio di newsletter, ad esempio. E di altri tipi di gruppi più piccoli e chiusi, come quelli su WhatsApp. Che però è decisamente tossico pure lui (ma è di Facebook, che ci volete fare).

The Underdog Prophecy
David Shor è il genietto della politica americana: 28 anni, data scientist ex fenomeno della campagna elettorale del 2012 di Barack Obama, ha capito tutto su sondaggi e analisi tramite “sentiment”. Vittima della “cancel culture”, ha perso il suo posto come capo della sezione data science per la politica dell’agenzia Civis Analytics. A quel punto ha fatto una lunga, lunga intervista con il New York Magazine in cui spiega tutta la politica americana dal suo punto di vista di data scientist. Tra le altre cose, spiega perché aveva ragione Gandhi con le proteste non violente: vengono devastate dalla polizia prevaricatrici e sono la strada per le rivoluzioni. Il cambiamento sono loro, e non il terrorismo. Affascinante, in Italia temo inascoltabile prima ancora che inascoltata.

I moderati sono un’invenzione
C’è una fantasia che si aggira per le democrazie del mondo: che esistano i moderati. In realtà, spiega uno studio, i moderati non esistono. Quello che noi definiamo “moderato”, cioè la persona di idee miti, centriste, che non predica teorie o pratiche estreme. Errore. Il nostro grande sbaglio è pensare che esistano persone con opinioni politiche “moderate” perché ce le presentano nelle analisi ad esempio dell'elettorato. Invece, nei sondaggi quelli che troviamo sono in realtà aggregati statistici di persone molto differenti, cioè con opinioni politiche “diverse”. Mi spiego: sono persone con idee che sono un po’ a destra e un po’ a sinistra, ma che diventano centriste e moderate perché i modelli di analisi tendono al centro. Tipo: chiamereste moderati i cluster di persone che negli Usa vorrebbero una sanità pubblica universale per tutti e contemporaneamente vorrebbero anche la deportazione immediata e senza processo di tutti gli immigrati senza documenti? Non penso proprio. Ecco, questo è un problema perché falsa non poco la percezione alla base dell'agire politico.

Txt
Ash, il milionesimo text editor per la riga di comando.

I rischi del mestiere
Cose che non sapevo: le antenne del 5G, ma anche quelle del 2G, 3G e 4G, in Messico fanno male: sono pericolose, molto pericolose. Se le ripari, infatti, potresti finire sparato dai militari dei cartelli del narcotraffico.

L'iPad segreto 
In questi giorni si fa un gran parlare del progetto portato avanti in segreto alcuni anni fa in una stanzetta del campus Apple di Cupertino. Racconta su TidBits in un gustoso scoop il programmatore di Apple che se ne è occupato che il governo americano ha avvicinato l'azienda all'inizio degli anni Duemila per farsi fare un iPod di quinta generazione con sistema operativo "differente". L'obiettivo del progetto era poter far funzionare dentro il lettore musicale anche un hardware segreto non meglio identificato (forse un contatore Geiger) in modo che non potesse essere trovato e che nessuno si accorgesse che veniva utilizzato. Tutto è stato richiesto, organizzato e fatto solo parlandosi di persona, senza cioè lasciare tracce con fogli, moduli o email. Lo stesso Steve Jobs pare non ne sapesse niente. Le cose segrete, a quanto pare, si fanno così.

I social del lavoro
Slack sta per fare una brutta fine, perché dopo quel film dell'orrore che è Teams di Microsoft integrato in Office e ineliminabile (ops, l'installazione di Teams non è possibile. Ma pensa), sull'altro versante c'è Google che sta legando assieme tutti i pezzetti della sua G-Suite. I big vogliono controllare la conversazione quando si parla di integrazione perché l'app più leggera è quella che costringe poi gli utenti a restare dentro l'ecosistema.

Ministri degli altri
Taiwan ha una ministra degli affari digitali che è fenomenale. Si è visto durante l'emergenza coronavirus. Wired racconta cosa è successo e chi sia lei

Foglietti
Se ne sentite la mancanza, ecco a voi un altro foglio di calcolo. Tutto completamente online. Intanto, per dire che Excel non è l'unico modo per farlo. E poi perché qui con Luckysheet si possono fare calcoli per matrici, configurare le tabelle, funzioni di analisi dei dati, screenshot al volo, scorciatoie di tastiera custom e c'è anche la vista mobile. Se anziché un foglio di calcolo vi serve un database (ma sbagliarsi è facile, se non si è bravi a fare analisi dei problemi) la cosa migliore oggi è Airtable.

Soundscape
Jeff Beck suona Blanket con il suo gruppo e con Imogen Heap. È uno stralcio di una delle varie serate registrate da Beck nel 2007 al Ronnie Scott's club di Londra. In altre serate dello stesso ciclo hanno partecipato Eric Clapton, Jess Stone e altri. La consueta gradevolezza e il gusto sonoro forse innato di Beck qui sono addirittura squisiti. Da ascoltare secondo me anche la giovanissima bassista-prodigio Tal Wilkenfeld, che poi si è un po' persa ma è lo stesso un portento.

Stemperando
E finsero tutti felici e contenti / Dizionario delle nostre ipocrisie (link affiliato) è l'ultimo libro di Giuseppe Culicchia, lo scrittore torinese classe 1965 che già dagli anni Novanta ha messo chiaramente in scena la trasformazione della società italiana nel precariato eletto a sistema: in pratica l'unico cantore del disastro della Generazione X rispetto a tutte le lamentele dei Millennials. A differenza di Douglas Coupland, però, che ancora va via come un treno, Culicchia si è un po' perso dietro a Bret Easton Ellis (di cui è il traduttore in Italia) e in buona sostanza è come se fosse andato in acido. In questo libro l'autore torinese stempera, cade nel manierismo, persegue una formula rigida che richiede più inventiva (non ci sono voci davvero memorabili) ma a tratti è ancora delizioso come una volta.

La mia grossa Espada
La chitarra perduta di Leo Fender forse non è perduta a caso. Si chiama Espada, ha un design particolare e doveva avere pickup attivi "split-coil" alimentati con sei pile AA. È un progetto del 1969, praticamente finito ma mai commercializzato. La sua storia attuale lascia pensare però più a un tentativo di fare cassa da parte di G&L (che la produce sui disegni originali) che altro. Interessante forse sono i pickup split-coil, che comunque sono stati in parte riprogettati dai prototipi del 1967. Una nota per spiegare cos'è G&L: Leo Fender, dopo aver venduto la sua azienda, nei tardi anni Settanta aprì con George Fullerton e Dale Hyatt la CLF Research e fece parecchie chitarre per Music Man (oggi di proprietà della Ernie Ball). Quando poi CLF Research e Music Man litigarono, sempre negli anni Settanta, Fender e Fullerton decisero di creare il marchio G&L (dalle iniziali di George e Leo). La G&L è andata avanti anche dopo la morte dei fondatori, e oggi è gestita da John C. McLaren della BBE Sound. Praticamente sconosciuta, non è mai diventata un "marchio" come la Fender o Music Man, e, nonostante abbia creato una tonnellata di innovazioni paragonabili a quelle a suo tempo fatte dalla Fender originale, dire che è un'azienda di nicchia è dire poco. Le chitarre di G&L sono le ultime pensate e progettate da Leo Fender, ma non sono altrettanto iconiche. 

Brrr No.2
Altri brividi Made in Japan per raffrescare l’estate che volge al termine (gliela stiamo facendo?). Questa volta, un libro sfogliabile online dello studioso e traduttore Lafcadio Hearn, intitolato Kwaidan: Stories and Studies of Strange Things (link non affiliato) del 1904. Come spiega l’introduzione di Public Domain Review, Kwaidan è la traslitterazione di “storie di fantasmi”. La cosa divertente (dal punto di vista del genere letterario affrontato più che dei contenuti o sul piano esistenziale, ovviamente) è che l’autore è morto pochi mesi dopo aver finito di editare la raccolta. Alcune storie sono effettivamente giapponesi, altre ancora più antiche e cinesi, altre ancora inventate dal compilatore, che le ha ascoltate (o “vissute”) nella sua fanciullezza nel Galles. Nel 1964 è stata realizzata un film che è una raccolta di racconti popolari dell’orrore di Masaki Kobayashi ma che in realtà è basato sulle storie di Lafcadio Hearn. 

 

Non c'è covid che tenga – Foto © Antonio Dini



Disclaimer: con alcuni dei siti linkati questa newsletter ha un’affiliazione e ottiene una piccola quota dei ricavi, senza variazioni dei prezzi. Serve per portare avanti la baracca. Ma potete anche cercare le stesse cose su altri negozi di e-commerce. 



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