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(quella che esce quando è pronta)
“To return to a book is to return not just to the text but also to a past self. We are embedded in our libraries. To reread is to remember who we once were, which can be equal parts scary and intoxicating.” - Craig Mod
Altro che Fan Ho! - Foto @ Antonio Dini
In questo numero:
LE PULIZIE DI PRIMAVERA DIGITALI
Questa settimana Mostly Weekly è più corta della media. Anche se la primavera è già iniziata da un po', sto mettendo in ordine. Nelle settimane scorso un po' di scatole di libri e altre cose archiviate. Ho fatto anche una trasferta con tanto di furgoncino a nolo tra Lombardia, Toscana e ritorno. Adesso, è arrivato il momento dei dati. Perché negli anni ho accumulato tantissimi bit, che occupano poco posto - lo ammetto - ma che soprattutto sono difficili da organizzare e trovare. Per cui ho deciso di mettere ordine. Siccome sono una persona di una certa età, e ho una brutta tendenza all'accumulo, finisce che ho parecchie cose sparpagliate su una decina di dischi esterni di varie grandezze. Il problema in questo caso è duplice: da un lato mettere tutto su un disco solo, riorganizzarle eliminando i doppioni, e poi eventualmente ridistribuire il tutto su più dischi più piccoli e dedicati, in modo che ci siano dei backup.
La prima parte è la più onerosa, anche perché i trasferimenti richiedono un sacco di tempo. Per fortuna un amico mi ha prestato un disco esterno di proporzioni epiche: un Seagate Ironwolf da 16 Terabyte. Mamma mia: 16 Terabyte. Vorrei che vi fermaste un attimo ad apprezzare la dimensione di questo disco... Qui convergerà nei prossimi tre o quattro giorni (temo di più) il mare di cose che ho archiviato nei miei vecchi dischi, che vanno da mezzo fino a due Tera al massimo.
Poi un po' di tempo per togliere le duplicazioni e le cose inutili, quindi si passa a rimetterli al loro posto. Ed entra in campo un altro problema: ritornare a un mare di dischi da 2TB sperando che la roba ci stia, oppure fare un investimento - neanche piccolo - e comprare un altro disco "grande", oppure un Nas o meglio ancora un disco doppio (in mirroring) da attaccare al computer?
Qui entriamo nella fantascienza, perché di prodotti ce n'è la metà di mille. Considerando che molto di quello che viene offerto dai Nas di oggi (streaming, accesso via web, etc) non mi serve, pagherei per funzioni che non uso. Le prove sono complicate ed è difficile distinguere le funzionalità e gli attributi oggettivamente rilevanti da quelle soggettivamente rilevanti: questo è da sempre il problema di chi fa recensioni. Per adesso sto guardando con interesse un MyBook Duo di Western Digital che ha connessione Usb-C (ma non Thunderbolt 3) e con i due dischi viene a meno che non il contenitore più i dischi. Però il modello da 12 Tb in mirroring offre 6 Tb di spazio usabile: temo non sia abbastanza.
Vediamo, adesso cerco rapidamente di fare la somma e poi vedremo dove mettere il risultato. Perché intanto c'è un altro divertente problema da affrontare (almeno per me, che sono utente macOS). Cioè: visto che devo copiare grosse quantità di dati perdipiù molto frammentate, e che il Finder non è velocissimo e può anche dare problemi se la copia si interrompe, cosa usare? Software dedicati (ad esempio CarbonCopyCloner) oppure la riga di comando con CP o con RSYNC? Oppure cosa d'altro?
Insomma, come vedete questa settimana è andata così.
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GAME OF THRONES SPOILER FREE
Ciao ciao Game of Thrones, serie televisiva che era iniziata il 17 aprile del 2011. Otto anni e otto stagioni dopo, domenica scorsa la serie è finita. In maniera ahimé consolatoria e deludente. Ho trovato, nella summa di articoli in circolazione - pieni di spoiler peraltro - questo della giornalista scientifica Zeynep Tufekci, che secondo me è il più sensato e che condivido in buona parte.
Una premessa: GoT è finito in anticipo rispetto ai libri, nel senso che gli showrunner David Benioff e D.B. Weiss si sono trovati dalla sesta stagione inclusa in avanti senza più dei libri da mettere in scena. Avevano dei semilavorati e un bigino per punti condiviso con George R.R. Martin che nel tempo si è fatto sempre più esile, nel senso che la sesta e parte della settimana stagione sono basate in buona parte sulla sinossi dei libri che Martin sta scrivendo (forse) mentre l'ottava è decisamente basata su qualcosa di paragonabile a una lista di punti su un tovagliolino da bar girato da Martin ai due showrunner al termine di una serata da ubriachi.
Altra premessa: i libri di GoT (e le prime stagioni) sono una storia sulla violenza del potere. Il sesso nella prima stagione, per quanto piuttosto esplicito e abbondante (poi nelle stagioni successive scompare), è semplicemente uno strumento narrativo e uno specchietto per noi allodole dello schermo. In realtà, la base è la violenza del potere e la capacità che questo ha di corrompere le persone. Almeno, a questo il livello di analisi ero ero arrivato io, ai tempi.
Da sociologico a psicologico
La giornalista turca Tufekci fa decisamente un passo in avanti e spiega perché la serie crolla nelle ultime due stagioni, soprattutto nell'ottava e nel finale. Il punto è che cambia completamente metodo con il quale viene raccontata la storia. Si passa da un modo sociologico a uno psicologico. Ed è una descrizione che trovo perfetta. Utile oltretutto perché intercetta i problemi di molte narrazioni anche in altri settori (la Tufekci fa il paragone con le narrazioni di aziende come Apple, Facebook e Google, in cui seguiamo l'aspetto psicologico dei leader coinvolti anziché capire la partita nel suo schema più ampio, e questo ci rende praticamente impossibile capire il momento di cambiamento che stiamo vivendo: ma ci torniamo dopo).
La partenza della Tufekci è fulminante:
The show did indeed take a turn for the worse, but the reasons for that downturn goes way deeper than the usual suspects that have been identified (new and inferior writers, shortened season, too many plot holes). It’s not that these are incorrect, but they’re just superficial shifts. In fact, the souring of Game of Thrones exposes a fundamental shortcoming of our storytelling culture in general: we don’t really know how to tell sociological stories.
E poi spiega:
At its best, GOT was a beast as rare as a friendly dragon in King’s Landing: it was sociological and institutional storytelling in a medium dominated by the psychological and the individual. This structural storytelling era of the show lasted through the seasons when it was based on the novels by George R. R. Martin, who seemed to specialize in having characters evolve in response to the broader institutional settings, incentives and norms that surround them.
Per poi tirare la stilettata:
After the show ran ahead of the novels, however, it was taken over by powerful Hollywood showrunners David Benioff and D. B. Weiss. Some fans and critics have been assuming that the duo changed the narrative to fit Hollywood tropes or to speed things up, but that’s unlikely. In fact, they probably stuck to the narrative points that were given to them, if only in outline form, by the original author. What they did is something different, but in many ways more fundamental: Benioff and Weiss steer the narrative lane away from the sociological and shifted to the psychological. That’s the main, and often only, way Hollywood and most television writers tell stories.
Un problema di corsia
In sintesi quel che la Tufekci dice è che le storie raccontate da un punto di vista psicologico (come si fa sistematicamente in televisione e sempre più nel giornalismo) vanno perché sono un modo di fare storytelling emotivo. Le storie raccontate da un punto di vista sociologico hanno invece a che fare con dei personaggi che sono visti dall'esterno: non ci si identifica perché non è la loro psicologia a portare avanti il peso della storia e della sua spiegazione. Invece, i personaggi raccontati in chiave sociologica hanno ovviamente sempre le loro storie, la loro psicologia, ma vengono influenzati fortemente dalle forze esterne: le istituzioni e gli eventi attorno a loro. La loro vita interiore cambia, i cattivi non sono completamente tali e i buoni non riescono ad essere completamente tali. E per di più i personaggi compiono solo pezzi dell'azione, non sono risolutivi - nessuno di noi è risolutivo nella vita, se non nelle nostre narrazioni soggettive - e spesso e volentieri muoiono. E muoiono male. E muoiono "sprecati" dal punto di vista di un possibile racconto psicologico in soggettiva.
Per questo soprattutto l'ultima stagione è diversa e piace molto meno: si passa da una storia in cui si va avanti sul filo della tensione tra quello che succede esternamente e il modo in cui influenza la psicologia e le azioni dei personaggi - e dove tutto è precario, come nella vita -, a uno in cui invece è la psicologia dei personaggi a cambiare il mondo e a dargli un senso.
Nessuno fa davvero la differenza
All'improvviso i personaggi muoiono solo in modo eroico e temporalmente prolungato, drammatico e pieno di pathos. Ci deve essere un significato soggettivo nella loro morte. E comunque i personaggi principali sopravvivono, per quanto in maniera improbabile, e portano avanti una storia in cui "fanno la differenza". La grande complessità esistenziale, oltre al livello di scrittura di Martin che era riuscito a tenere assieme moltissimi fili narrativi, diventano all'improvviso un racconto moraleggiante molto semplicistico, in cui i buoni combattono contro i cattivi. E ciao.
I due autori hanno trasformato una storia potente - oltre che ben girata e recitata - in qualcosa di ridicolo e improbabile (a parte i buchi narrativi), sostanzialmente perché non hanno capito la storia che stavano raccontando e il motivo per il quale la stavano raccontando. Hanno trasformato una storia in cui la complessità delle interazioni e delle conseguenze che ne emergono (che poi è il modo in cui funziona il mondo) in un racconto semplice e oltretutto mal scritto.
Le storie psicologiche come quelle raccontate dai due showrunner sono basate sulla identificazione delle qualità morali con i personaggi che li portano avanti (i buoni e i cattivi) e congelano in una coerenza alle volte semplicemente stolida perché rendono praticamente impossibile i cambiamenti profondi, non parliamo poi dei diversi punti di vista. Verrebbe da dire che l'ultimo morto "a tradimento" di GoT, nello stile violento e improvviso portato avanti da Martin, è stato Game of Thrones stessa.
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BRAIN POWER
Di che colore sono le palline da tennis? Nei miei ricordi erano bianche quando ancora andavo a scuola, poi sono diventate gialle. E non ho mai avuto dubbi su questo, anche se scopro che c'è chi pensa che siano verdi. È un bel problema: siamo tutti daltonici (ma non esiste un daltonismo diffuso per il giallo), oppure c'è qualcosa d'altro?
Se ricordate, quasi quattro anni fa era (come passa il tempo) saltata fuori la storia della foto di questo vestito: il colore - a seconda di chi lo guarda - è blue nero oppure bianco e oro? La risposta è complicata perché, vedete, il cervello sta chiuso nella scatola cranica dove non filtra la luce, e quindo non ha esperienza diretta dei colori. Si deve fidare di quel che gli passano i nervi ottici, fare un po' di elaborazioni, pensarci su, insomma prendere delle decisioni. E quindi la gente non vede tutti i colori allo stesso modo. Anche perché ci sono colori dominanti per via della luce ambientale, che cambiano ovviamente a seconda di dove siamo e di che tipo di luce c'è, e il nostro cervello si è attrezzato e li filtra. In pratica, si tara da solo e quindi applica una modifica più o meno costante a tutte le informazioni sul colore che gli arrivano.
Il tema della pallina da tennis è diventata una piccola investigazione giornalistica per l'Atlantic. Che ne ha approfittato per ritirare fuori anche la storia del vestito che cambia colore. E le conclusioni sono molto chiare:
This is where my investigation ends, and I turn the question to you, dear reader. What color is a tennis ball? We’ve reported, now you decide. I must warn you that pondering this may lead you, as it did us, toward an existential cliff where we were reminded, once more, though we all live in the same world, it can look completely different to different people. “The reason color is so compelling is that it is a computation of the brain, but one that is so good that we think it is an objective property of the world,” Conway said. “Experiences that make it impossible to ignore the role of the brain in how we compute color are therefore very disconcerting.”
Casomai qualcuno se lo stesse chiedendo, questa è una delle ragioni per cui scatto tutte le mie foto in bianco e nero.
Old ladies con minivan - Foto @ Antonio Dini
TSUNDOKU
Perché, quando si comprano libri e non si leggono ma si accumulano e basta, c'è una parola (giapponese) per dirlo
In questi giorni mi sono capitati fra le mani:
I link non hanno alcuna affiliazione, puntano solo all'oggetto culturale citato.
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Buona domenica!
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