September 15, 2019

[Mostly Weekly #28] Verdure senza cuore

Mostly Weekly #28

La newsletter omonima a margine del canale Telegram
(quella che esce quando è pronta)


A cura di Antonio Dini
Numero 28 ~ 15 settembre 2019


"When you feel like you’ve finally got your arms around something, then it’s time to go get your arms around something else." - Brad Pitt

HEAD

Ci sono varie cose che forse non funzionano come dovrebbero nella nostra società: uno sguardo che sappia coglierne l'essenza – come per la mia formazione ho studiato e capito che sapevano fare gli storici greci e soprattutto romani guardando ai loro stessi tempi – sarebbe assai necessario. Le voci forse ci saranno anche, ma sono schiacciate dal best seller di turno che racconta la storia dell'homo sapiens e dintorni. In realtà, nel nostro flusso estremamente espressivo perché praticamente privo di barriere all'entrata in fase produttiva (e Mostly Weekly per paradosso ne è un esempio) si mescolano cose importanti con cose futili, cose strane con cose false, e ci addormentiamo al sogno delle nostre ideologie. Pensiamo alla meritocrazia, alla costante gara per eccellere, al privilegiare il riconoscimento dei più meritevoli a scapito dell'inclusività e dell'integrazione. E al sogno di farcela, di realizzarci pienamente da un punto di vista prevalentemente economico. Perché i soldi non sono la felicità ma sicuramente aiutano, si dice. E se non sono soldi, allora sarà la fama e la notorietà, saranno i follower e gli utenti, gli abbonanti e i seguaci. Realizzarsi, esprimersi, farsi conoscere: cercare fuori da sé quello che dovrebbe crescere dentro di noi. I cinesi hanno un contorno che si chiama "verdura svuotata" o "verdura senza cuore", in originale si dice "kongxincai" (per i giapponesi è "asagaona"). Sono un tipo di verdure simili agli spinaci con il fusto delle foglie cavo, appunto "svuotato". Vivono lo stesso, ma manca qualcosa. Sono tipici delle zone tropicali e in inglese vengono chiamati "water spinach" ma non sono parenti degli spinaci, casomai della patata dolce: per gli amanti di Linneo si tratta di "Ipomea aquatica". In ogni caso, il nome cinese dà l'idea della fragilità liquida sulla quale questa metafora in forma d'ortaggio prende forma per me. Svilupparsi senza niente al nostro interno, lasciando che sia un ambiente cangiante e liquido, intimamente precario, a sorreggerci (e forse ci sorregge davvero o forse no). Buona lettura.
The Myth of Making It
 

 
La Chine en marche – Foto © Antonio Dini


 

In questo numero:
- Head
- Body
- Tsundoku Regular
- Tsundoku Poetry Room



BODY

I ritratti dei musicisti blues e country di Robert Crumb
Uno dei contributi più originali alla cultura musicale degli Stati Uniti è il Blues, che poi è alla base di moltissima musica moderna. Ma è molto più che non semplice musica: dietro c'è un modo di intendere la vita. Robert Crumb lo risolve graficamente con garbo e una attenzione che però rischia di allontanare chi guarda. Un'altra narrazione che mi viene in mente è un vecchio film di Ralph Macchio, attore completamente appiattito sul suo vecchio ruolo di Karate Kid (1984). Si tratta di Crossroads (1986) che racconta la storia del giovane Eugene Martone alla ricerca dell'ultima canzone perduta di Robert Johnson. È un film riuscito a metà: c'è qualcosa che non funziona, nonostante musicalmente sia molto ben curato. Tuttavia, al di là di Macchio, del vecchio Joe Seneca e della bella Jami Gertz, mostra una prospettiva gustosamente "stagionata" sulla musica nel Mississippi più rurale. E il duello di chitarra con il diabolico Steve Vai alla fine è divertente anche se musicalmente non c'è proprio.

The Family That Built an Empire of Pain
Intere fortune costruite in maniera predatoria, violenta, schiavista e magari sfruttando debolezze o fragilità umane e del sistema (e anche dell'ambiente). Soldi sporchi. Che però diventano una forma di beneficio per l'umanità grazie alla sponsorizzazione di istituzioni accademiche. In un momento di grande confusione etica, questo articolo ripercorre la storia di una famiglia che ha costruito un impero miliardario sul dolore, e sul modo con il quale in America l'etica protestante "lava" i peccati dei suoi figli prediletti.

French company liable after employee dies during sex on business trip
La notizia di per sé sarebbe poca cosa: un giudice francese ha stabilito che l'azienda deve pagare il risarcimento ai famigliari di un suo dipendente che muore durante un viaggio di lavoro. Questo a prescindere da quel che la persona stava facendo: se muore giocando a tennis in pausa tra una riunione e l'altra, andando al ristorante la sera o facendo all'amore con una perfetta sconosciuta nella sua camera d'albergo. Evidentemente quel che cambia tutto dal punto di vista della notiziabilità è l'idea che stesse facendo proprio quest'ultima cosa. E di riflessioni se ne possono fare tante; ve lo lascio come esercizio per tenere il cervello in allenamento: trovate tre ragioni per cui è assurdo che l'azienda debba rimborsare la famiglia del caro estinto e tre ragioni per cui è ovvio che lo debba fare.

Hanging Out With Kurt Cobain in San Francisco
La leggenda di una città si alimenta anche dal livello delle star che la abitano o che l'hanno abitata. E poter ripercorrere i vicinati storicizzati dal racconto di com'era San Francisco quando il leader dei Nirvana girava per il quartiere. Racconti che appartengono a un'era molto vicina mentalmente per chi l'ha vissuta, ma temporalmente lontana (fine ottanta, primi novanta). Alla fine, è il sentimento che pervade l'anima quando si avverte il passare del tempo. Un eufemismo per dire che si invecchia. La risposta? Cercare nuove prospettive (magari sempre a San Francisco).

Dear Girl
Mi fa impazzire il sottotitolo: "A letter to the body that gives and is never expected to take". Mi fa pensare alla maternità in un milione di possibili varianti e passaggi, alle dinamiche parentali, all'essere figli, all'essere padri e compagni (o mogli e compagne), all'essere genitori di figlie che hanno avuto figli. La profondità dell'esistenza celata sotto maschere che vogliono semplificarla per portare avanti altre agende, altri obiettivi.

Let’s See Those Incredible Yard Sale and Flea Market Finds
Atlas Obscura da piccolo blog intelligente è diventato una specie di multinazionale tascabile dell'esotismo. La chiave è l'insolito, le declinazioni sono state moltissime. Una di queste sono la reinvenzione dei thread da forum. In questo caso: cosa avete comprato di favoloso al mercatino delle pulci? (Una volta si chiamavano così, sono vecchio lo so). Ebbene, se scorrete le risposte della comunità di Atlas Obscura trovate cose genericamente interessanti ma anche alcune gemme. Quello che sfugge, perché poi sia eBay che gli altri si sono allineati al modello del marketplace di Amazon, è che con il riciclo potremmo bastarci, abbattendo i consumi. Ma ci sarebbe un impatto sulla produzione - e quindi sull'occupazione e i salari - enorme. Per carità, la stessa cosa sta succedendo anche consentendo ai grandi colossi tech del retail di concentrare nelle loro capienti manone tutto il commercio al dettaglio. Quindi, non lo so. Nel frattempo andiamo a farci un giro nei mercati delle pulci virtuali e facciamo un po' di window shopping.

When the Pianos Went to War
Un'altra storia da Atlas Obscura: i Victory Vertical. Durante la Seconda guerra mondiale negli Usa venne fermata la produzione di molti generi di prodotti considerati secondari nel consumo di risorse come il ferro, il rame e il bronzo, per concentrarsi nella produzione necessaria allo sforzo bellico (successe anche da noi ma in una scala e con una efficienza infinitamente inferiori: per capire cosa fecero gli Usa basta citare le 2.700 Liberty Ship costruite). Una delle conseguenze del blocco fu che praticamente si producevano più strumenti musicali. Tranne uno: il "Victory Vertical" fatto da Steinway & Sons (l'azienda di New York City che se vi capita di fare un giro per il Queens o sulla Sesta a Manhattan merita andare a vedere). Il fatto è che il governo americano voleva anche che i suoi soldati, impegnati sui teatri europei, nordafricani e del Pacifico, avessero il morale alto, e che per questo la musica suonata dalle bande (dei soldati) fosse parte della vita dei battaglioni. La Steinway & Sons studiò un pianoforte verticale particolarmente resistente, comprensivo anche di cassa da trasporto, che poteva essere addirittura paracadutato senza distruggersi, con colle impermeabili, trattamento anti-insetti, leggero, i tasti in avorio sostituiti da tasti ricoperti di cellulosa, le corte avvolte in ferro (poco). Abbastanza leggero da essere trasportato a schiena da quattro soldati (e c'erano anche le maniglie). Ne fecero circa cinquemila. Non suonavano benissimo e forse neanche bene, ma funzionavano abbastanza da soddisfare il "gusto da saloon" di molta parte truppa. Che, negli anni Trenta e Quaranta, era abituata a concerti molto diversi dai nostri (soprattutto, molto raramente amplificati). Il risultato? Uno strumento oggi dimenticato ma fenomenale. E, a naso dire, anche molto robusto.

Payments giant Stripe debuts a credit card in its latest step into the financing fray
Un anno fa circa sono andato a San Francisco a incontrare i dirigenti di Stripe, azienda praticamente sconosciuta ma fondamentale nel funzionamento dell'economia su internet. Ho trovato una cultura aziendale che mi è piaciuta molto, persone alquanto interessanti, un ambiente di lavoro notevole e la sensazione che avrebbero potuto fare ancora di più. E in effetti sta succedendo. Questa carta di credito aziendale è sostanzialmente una rivoluzione per gli standard del settore negli Usa. Ottimo.

Maker Series: Artisanal Firewood | CBC Radio
Ieri mi ha scritto un contatto di lavoro, una persona della mia età (diciamo di mezza età) molto intraprendente che ha aperto una società monopersonale e si inventa cose di design e abbigliamento con la particolarità di fare tutto a mano, su scala ridottissima, cercando di metterci sopra dei cartellini del prezzo pesantissimi. Chessò, gemelli per camicia fatti a mano con i tasti di vecchie macchine per scrivere, oppure borse cucite con materiale militare di risulta, e cose così. Il tutto giustificato dal fatto che è "Made in Italy" e puntando alla vendita via internet lontano, molto lontano, magari in Giappone o negli Emirati Arabi. Ci sta dentro (credo) perché fa tutto lui e ha costi bassissimi. Gli ho mandato questo video: chissà se riderà, piangerà o si metterà nel business dei ciocchi di legna.

I Built a Guitar Out of 1200 Colored Pencils
Questo artista americano pratica un genere che è un incrocio tra il pazzo lasciato libero su YouTube, la performance video e l'artigianato estremo. Si chiama Burls Art e costruisce oggetti, tendenzialmente chitarre elettriche, usando materiali improbabili. Beh, intanto tantissima resina epossidica (ne ha anche fatta una sostanzialmente solo di resina) e poi altre cose, tipo le matite. E vi devo dire la verità, visto che le chitarre elettriche sono al 90% la parte elettrica (i pickup) e al 9% il manico, con una percentuale quasi insignificante dell'1% per quanto riguarda il resto (cioè il corpo), gli vengono tutte bene e alcune sarebbero anche da comperare, probabilmente. Solo che lui non vende. E chissà di cosa campa, allora, tra un video e l'altro. Tra l'altro, se andate a ravanare nel canale, si vedono anche anche le location dove opera: prima il garage della sua villetta all'americana e poi un altro laboratorio in mezzo alla campagna. Sono queste cose che mi fanno meravigliare ancora della "normalità" eccezionale di Internet.

Drone racing footage of abandoned coal factory
Ci sono molte cose che si possono dire dopo aver visto questo video di droni che volano in modo immersivo e surreale e che è poco meno che spettacolare: la prima è da spettatore ed è il salto di qualità visivo che questa esperienza permette di fare, a scapito di decenni di computer graphic e videogiochi. L'altro è che, sul versante della produzione dei contenuti multimediali, il drone continua a porre dei problemi di cambiamento radicale dell'estetica visiva. Ma lo fa senza un punto di arrivo sensato: non abbiamo ancora gli artisti, per adesso abbiamo solo la tecnica visiva. Infine, astraendo, mi fa venire in mente quale trasformazione tecnologica abbia permesso la creazione di velivoli senza pilota o passeggeri a bordo. Immaginate la stessa cosa applicata alle auto: senza più un guidatore quale forma e usi saranno possibili?

Relax in quota – Foto © Antonio Dini



TSUNDOKU REGULAR
Perché, quando si comprano libri e non si leggono ma si accumulano e basta, c'è una parola (giapponese) per dirlo

In questi giorni mi sono capitati fra le mani:

  1. Our World di Mary Oliver e Molly Malone Cook. Quando è morta la sua compagna, la fotografa Molly Malone Cook (1925–2005), la poetessa Mary Oliver (1935–2019) ha raccolto in questo libro di saggi, poesie, fotografie e altri appunti un diario di una storia d'amore durata quasi mezzo secolo che è anche un inno alla vita e ai sentimenti. Se volete leggere qualcosa con poesie, storie e fotografie meravigliose, non andate oltre.
  2. The Americans di Robert Frank e Jack Kerouak. Tra il 1955 e il 1956, prima dell'era del rock, un giovane fotografo svizzero armato di Leica e con un grant della Guggenheim Foundation ha girato l'America in auto, scattando 35mila foto in bianco e nero della provincia e della vita reale ben oltre la retorica del sogno americano. È una dei nodi fondamentali della Beat Generation, e non a caso nel libro c'è anche il saggio del giovane Jack Kerouak che aveva pubblicato da pochissimo il suo On The Road. Si parte da là, da quelle foto, dalle poesie di CityLights, dai romanzi di Kerouak. Pochi giorni fa il fotografo, che non è più riuscito a trovare un successo paragonabile a quello di The Americans e che si è dedicato con risultati modesti al cinema, è morto all'età di 94 anni.
  3. Fred Herzog: Modern Color di Fred Herzog e David Campany. È scomparso anche il fotografo canadese Fred Herzog a 88 anni. Secondo i critici meno centrale di Frank nella storia della fotografia, è stato comunque uno dei più importanti professionisti del settore e ha una particolarità che mette bene in luce un passaggio della storia della fotografia contemporanee. Herzog, che era nato in Germania ma si era trasferito a Vancouver diventando così canadese, ha scattato soggetti in parte simili a quelli di Frank, cioè soprattutto street photography e lavoratori, ma solo con la pellicola a colori Kodachrome, considerata all'epoca piuttosto cheap visto che i professionisti lavoravano esclusivamente con il bianco e nero, giudicato più completo ed espressivo (vedi ad esempio un altro classico: Walker Evans: American Photographs). Il colore andava bene al massimo per i rotocalchi di bassa qualità. Ma questa capacità di rendere la vita americana "a colori", che venne poi sdoganata definitivamente soprattutto da Joel Meyerowitz lo ha penalizzato all'inizio, come accade a chi è anticipo sui tempi. È stato "scoperto" e apprezzato solo più tardi, ma a guardarlo oggi ha un gusto molto più attuale e comprensibile dei suoi contemporanei.
  4. Where I Find Myself: A Lifetime Retrospective di Joel Meyerowitz, citato giusto sopra. In questa improvvisata trilogia fotografica, Meyerowitz (bontà sua) è ancora vivo e vegeto anche se ha un'età. È stato ed è tutt'ora un grande sperimentatore e un affascinante maestro nei corsi di street photography. È anche uno dei primi fotografi ad essersi messo in mostra, esibendo il suo lavoro dietro l'obiettivo con altrettanta passione. Indimenticabile poi il suo reportage da Ground Zero. All'inizio fu proprio il lavoro di Frank con The Americans a fargli decidere di lasciare l'impiego come pubblicitario per andare in strada a fotografare la vita nell'attimo in cui accade, il "momento decisivo" di Henry Cartier-Bresson (che ha scritto anche il libro su questa idea: The Decisive Moment). Meyerowitz ha cominciato a scattare in bianco e nero ma, siccome ama sperimentare, come detto, presto se ne è distaccato. I risultati in ogni caso sono spettacolari e la sua retrospettiva, che cito qui, gli rende giustizia solo in parte.


TSUNDOKU POETRY ROOM
Un oggetto di poesia alla settimana, a cura del poet-in-residence Roberto R. Corsi (@rrcorsi)

Garden Of Delights. Selected Poems di Gianfranco Palmery. English translation by Barbara Carle, New York: Gradiva Publications, 2010, pp. 125. Ho avuto la fortuna di incontrare la poesia di Palmery poco prima della sua scomparsa, l'ho recensita e il poeta ha preso a corrispondere con me con gran garbo. Eccellente traduttore, tra gli altri, di John Berryman, propulsore della casa editrice di nicchia Il labirinto, Palmery è stato un grande poeta, attento alla forma classica e cupo nella sostanza. Ha scritto almeno un capolavoro, "Dopo la tempesta", in cui appoggiandosi a Shakespeare verseggia come nessuno sullo struggimento che precede e segue l'abbandono della poesia; il fatto tragico e non testimoniato per cui, citando Flaubert, "ogni notaio contiene in sé le rovine di un poeta". Molti suoi titoli, specialmente gli ultimi, sono reperibili comodamente in edizioni italiane di pregio; ho scelto di proporvi il libro "reverse" che mi ha fatto appassionare, ossia l'antologia italiana tradotta in inglese (con testo italiano a fronte, niente paura) da Barbara Carle per la Gradiva Publications di Luigi Fontanella; con ciò permettendovi un excursus condensato tra libri non facili al reperimento.

I link non hanno alcuna affiliazione, puntano solo all'oggetto culturale citato.

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