La newsletter omonima a margine del canale Telegram
(quella che esce quando è pronta)
A cura di Antonio Dini
Numero 51 ~ 23 febbraio 2020
"If you become restless, speed up. If you become winded, slow down." – Robert Pirsig
In questo numero:
- Head
- Poetry Now
- Body
- Vim Corner
- Tsundoku Regular
- Tsundoku Poetry Room
HEAD
Quand'è che "abbastanza" è abbastanza?
Keanu Reeves ha costruito nel tempo una immagine molto zen (il che è in linea anche con la sua dramatis persona) e distaccata da quei valori fuori scala che la nostra società sta costruendo. Leggevo questa riflessione su Medium che cerca di costruire un ponte tra l'attore-santo da un lato e il rifiuto del consumismo e della società dell'abbuffata dall'altra. "I soldi sono lo sterco del demonio" lo si diceva già nel medioevo (e non era una valutazione neutra né condivisibile), invece "l'importante è vivere una vita piena" è il contributo new age offerto dai nostri tempi confusi e ignoranti.
Non la trovo una buona strada: stia come stia, il punto non è se l'attore milionario fa beneficienza e prende la metropolitana. Il punto è essere soddisfatti di quel che si è e di quel che si ha.
C'è infatti un altro aspetto sul quale secondo me vale la pena ragionare. Ed ha a che fare con un cambio di prospettiva, con un approccio meno quantitativo. «Sufficiency – scrive Brené Brown – isn’t two steps up from poverty or one step short of abundance. It isn’t a measure of barely enough or more than enough. Sufficiency isn’t an amount at all. It is an experience, a context we generate, a declaration, a knowing that there is enough, and that we are enough». (da The Gift of Imperfection, che è un libro interessante anche per altri motivi e per niente new age).
Il concetto di "enough", di "abbastanza", ricorre ma non passa. Perché diventa una misura, e non una esperienza o un modo di vivere. Richiede del tempo per essere digerito che non gli concediamo.
In un commencement speech di John C. Bogle c'è questo aneddoto un po' cristologico che però secondo me dà un'idea più ficcante del concetto: «At a party given by a billionaire on Shelter Island, the late Kurt Vonnegut informs his pal, the author Joseph Heller, that their host, a hedge fund manager, had made more money in a single day than Heller had earned from his wildly popular novel Catch 22 over its whole history. Heller responds, ‘Yes, but I have something he will never have... Enough.’»
Il fatto è che il nostro mondo è costruito attorno a un altro valore, antitetico, che è "more", "di più". Ci pensavo scrivendo un articolo sul noleggio a lungo termine di auto elettriche. Un noleggio costoso, che secondo me non ha molto senso perché l'auto elettrica (per quanto cara) dura molto di più di una a motore termico dato che si usura molto meno. Ora, siccome il noleggio ha senso se il ciclo di vita atteso del veicolo è di un anno, per l'elettrico questo è sbagliato perché l'investimento va spalmato su 10-15 anni. E tecnicamente è vero, però non è così. È la moda che ci dice una cosa diversa: ogni anno esce una versione nuova dell'auto, del telefonino, del computer, che è più attraente della precedente, svalutandola nella nostra mente. Vuoi di più e per questo cambi sempre e non sei mai soddisfatto. Le nuove funzionalità sono lo specchietto per le allodole (noi) e spesso non sono un vero progresso o addirittura non servono praticamente a niente.
Questi sono desideri indotti dal marketing (che, se l'economia è una scienza triste, il marketing è fondamentalmente una scienza cattiva e manipolatrice) e che il denaro in quanto tale non dà la felicità però aiuta a comprarsela, diceva mia nonna.
C'è un'altra considerazione da fare, parlando non più di oggetti ma di soldi, che poi sono un'astrazione necessaria non al sostentamento quanto al consumo generalizzato. Di quanti soldi abbiamo bisogno, nella nostra vita? Perché passare tutte le ore del giorno e anche qualcuna della notte a lavorare per guadagnare più soldi equivale a non vivere la propria vita.
Secondo vari studi esiste un "punto di sazietà", un livello oltre il quale i miglioramenti economici della nostra vita in realtà non aggiungono nulla. Questo è sorprendente e totalmente in contraddizione con la cultura della nostra società, che invece vuole un progresso continuo, un aumento costante dei consumi, una ricchezza sempre maggiore. Ogni anno bisogna guadagnare di più, sia i singoli che le aziende. Una azienda che guadagni molti soldi in assoluto ma che non cresca anno dopo anno, trimestre dopo trimestre, viene considerata a rischio e sostanzialmente perdente.
L'idea di "abbastanza" è totalmente contraria a molte, troppe idee legate al consumo che la nostra società ci ha instillato. Abbiamo oramai l'istinto per cercare more, non per arrivare a enough. Anche la parola stessa, "abbastanza", inserita nel contesto delle carriere, dello stipendio, delle relazioni, della vita stessa, suona male, perdente. Abbastanza amici. Abbastanza libri. Abbastanza cibo. Abbastanza tempo per sé. Abbastanza felicità. Vogliamo persino più vita, quando sappiamo benissimo che è una risorsa tutt'altro che infinita.
Eppure viviamo in tempi estremamente interessanti, ricchi, in cui ci sono diritti, risorse, connessioni, relazioni, cultura per tutti. Viviamo in un'epoca dell'abbondanza come probabilmente non si è mai visto, ma il quadro di riferimento è talmente orientato alla scarsità e alla fame per generare più consumo che l'idea stessa di "abbastanza" è sostanzialmente assurda. Pensateci.
POETRY NOW
Ant, poeta milanese del terzo millennio, mi ha mandato questa sua composizione, che condivido con voi, cari lettori
Il vento non ne ha colpa
Un bosco. Un grande bosco.
Un mese dopo l'altro il bosco vive e cresce. In equilibrio. In armonia.
La pioggia si alterna al sole. Una stagione dopo l'altra. Un anno dopo l'altro.
Una scintilla. Un fulmine. Un piccolo fuoco.
Ma il bosco è umido. Il bosco è sano. Il fuoco brucia ma è piccolo. Dura poco.
Il tempo passa e le stagioni cominciano a cambiare. Piove un po meno.
Il bosco è un po più asciutto. Un giorno dopo l'altro. Un mese dopo l'altro.
Il bosco comincia ad asciugarsi. Non dappertutto. Solo in alcune zone.
Una scintilla. Un fulmine. Un piccolo fuoco.
Ma il bosco è grande. Molto grande. Può resistere.
Piove sempre meno. C'è sempre più sole.
Ormai sono tante le zone asciutte. E sono dappertutto nel grande bosco.
Armonia ed equilibrio un po' alla volta stanno svanendo.
Ora il grande bosco è più debole. Più esposto.
Una scintilla. Un fulmine.
Il fuoco. Quel fuoco piccolo che prima non ce la poteva fare, seppur neonato ora vive.
Non è più solitario ed isolato. Vive in tanti piccoli luoghi sparsi per il grande bosco.
Non piove. Torrenti e ruscelli scroscianti sono sempre meno. Sempre più piccoli. Sempre più silenziosi.
Sul grande bosco ora comincia a muoversi l'aria, attratta com'è dal calore di quelle fiamme.
È solo un refolo. Un piccolo soffio. Ma si sposta leggero verso quei fuochi.
Il bosco è ancora li però, da tante fiamme punteggiato, non è più come prima.
Anche comunità di uomini sono sostenute dal bosco, oltre ad alberi ed animali.
Ed in quel bosco tutti sperano che non arrivino solo un refolo o un debole soffio, ma una brezza anzi un vento che spinga lontano quei fuochi che si avvicinano e cominciano a far paura.
E il vento arriva. Prima piano poi sempre più forte.
Soffia ma non allontana quei fuochi. Soffia ma non li combatte.
Li alimenta. Li fa man mano più forti.
Non sono più piccoli fuochi. Ora sono cresciuti ed ardono con forza. Aiutati da quel vento tanto invocato.
Si avvicinano. Si incontrano. Si fondono. Sono diventati un unico grande incendio che poco alla volta ha avvolto il bosco. Tutto il grande bosco.
Il grande bosco brucia.
È vero. È un fatto. In quell'inaridito bosco, Il fuoco, non lo accese il vento. Ma fu il suo arrivo che lo rese incendio.
*~*~*
BODY
Scrivere Wikipedia automaticamente
Alla fine ha vinto Wikipedia contro l'Enciclopedia Britannica: una vecchia battaglia di dieci anni fa sull'attendibilità di questa rispetto a quella è finita nel dimenticatoio e così lo sforzo di creare nuove versioni delle enciclopedie classiche, intese come sistema di pensiero che raccoglie in modo autoriale la conoscenza: il frutto di una cultura e di una ideologia. Wikipedia benintenso fa lo stesso, ma lo fa dietro al velo del "punto di vista neutro" (if only) e dei contributi che emergono dal basso, come se esistessero una storia e una conoscenza oggettive che devono semplicemente essere raccolte.
Comunque, la potenza del sito sul quale lavorano volontariamente alcune migliaia di persone pedanti ha prodotto una delle più grandi imprese culturali di sempre. Con un piccolo twist che ne sta però cambiando il senso. Se infatti andate a guardare l'aspetto quantitativo di Wikipedia, cioè quante voci ci siano nelle varie edizioni centrate su lingue diverse, si scopre che, dopo l'inglese che ha circa sei milioni di voci, c'è il cebuano con 5,37 milioni di voci, seguito dallo svedese (3,37), dal tedesco (2,39), dal francese (2,18), dall'olandese (1,99), dal russo (1,59), dall'italiano (1,58), dallo spagnolo (1,57), dal polacco (1,38) e dal waray-waray (1,26).
Ora, è vero che il rapporto tra numero di voci e popolazione di un paese non è lineare, perché in molti paesi Wikipedia non è popolare (la Cina), oppure non c'è un tasso di penetrazione di internet sufficiente. Tuttavia, il cebuano e il waray-waray sono due dialetti delle filippine che non ci sta proprio totalizzino quasi sette milioni di voci, mettendo il cebuano subito dietro l'inglese. È come se la terza per quantità di voci fosse la lingua sarda. Non torna.
E infatti Vice ha fatto una bella inchiesta scoprendo che i dialetti filippini sono scritti quasi interamente da bot. Attenzione, non tradotti da un'altra lingua, anche perché è un po' complicato farlo visto il modo con cui sono strutturate le voci. No, invece sono semplicemente scritti da un singolo bot che è stato progettato da un solo programmatore, il fisico svedese Sverker Johansson, che ha creato “Lsjbot”, responsabile di più di 24 dei 29,5 milioni di edit di wikipedia in cebuano (più edit di quanti siano i parlanti della lingua). I bot sono frutto del lavoro di persone, e come tali contengono regole, principi e "pesi" che indirizzano la loro attività. Le voci insomma non sono "create dal computer", perché c'è una intenzione e una responsabilità alla base dell'attività del bot. In questo particolare caso, che probabilmente riguarda anche il waray-waray, ma verrebbe da pensare anche allo svedese che si piazza in terza posizione per quantitativo di voci di Wikipedia pur avendo una popolazione sproporzionata se lo paragoniamo a francese, tedesco, spagnolo o italiano, ha creato degli articoli che sono fatti mediamente bene. Nella media degli articoli di Wikipedia, che sono dei segnaposto che lentamente si arricchiscono del contributo di conoscenze portate dagli utenti e poi sistematicamente riviste dagli amministratori.
Il tema di fondo di Wikipedia non è tanto scrivere le voci quanto impostarne la lista (si fa così anche quando si scrive una enciclopedia: si scelgono prima le voci e poi si scrivono: questo è il passaggio ideologico fondamentale) e poi rivedere i contributi con editing che ne migliorino in modo incrementale il contenuto. Per fare questa seconda parte il Mit di Boston ha creato un bot che ha l'obiettivo di riscrivere le vecchie pagine di Wikipedia, quelle che contengono informazioni non più attuali. Al bot gli bastano poche informazioni di contesto e qualche nuovo dato per operare. Tra gli elementi che lo caratterizzano, c'è il fatto che analizza lo stile e la grammatica della singola voce per fare in modo che le modifiche siano adeguate e non "stacchino" troppo. E poi utilizza un sistema automatico di "fact-checking" (ci sta) e di "neutrality" (cioè elimina i termini polarizzati, che possono suscitare polemiche) per dare una bella ripulita alle voci precedenti. Per adesso è previsto che le modifiche vengano controllate da un operatore umano prima di essere approvate, ma secondo i ricercatori del Mit i risultati sono ottimi.
Uno dei motivi per cui questo tipo di attività di creazione o modifica dei testi avviene su Wikipedia, che si è guadagnata un ruolo importante nella circolazione della conoscenza in molto Paesi, è dovuto al fatto che l'enciclopedia è aperta sia dal punto di vista dell'accesso e modifica ai contenuti che delle tecnologie con cui questo è possibile. È insomma un bersaglio facile, visto che ha tantissime voci, in lingue diverse, e che possono essere modellate come si vuole.
VIM CORNER
Turing ed Excel Non ho alcuna simpatia per Excel o per gli altri prodotti di Office della Microsoft (non voglio parlare di Word questa volta, però). In particolare, ritengo che quegli strumenti software siano mal progettati, esorbitanti, tracotanti e per di più vengono anche abusati dagli utenti. Quegli strumenti software secondo me sono una prigione dal punto di vista dei formati e dei flussi di lavoro (quello è uno dei principali abusi di posizione dominante di Microsoft: tenere tutti dentro uno standard di fatto che poi è l'unica a poter interpretare), e sono oltretutto un freno all'innovazione perché, nell'epoca di Internet e delle connessioni always on, costituiscono un modo statico per interpretare la creazione, manipolazione e archiviazione dei dati che invece oggi diventano liquidi. Insomma. non mi piacciono.
Nei giorni scorsi ho pescato questo repository su GitHub che spiega come costruire un sistema di computer vision utilizzando Excel e le sue formule come strumento per impostare l'algoritmo e farlo funzionare. La domanda vera è: perché? Ma in realtà, al di là della ripulsa iniziale, mi sono chiesto: Excel è programmabile nel senso che è Turing-completo? A quanto pare, sì. Cosa che dovrebbe farci riflettere un attimo sul senso di avere un foglio di calcolo fatto così.
Bonus: un po' di stalinismo cyberpunk
Visto che si parla di computer vision, perché non parlare anche di rimozione automatica e in tempo reale di persone da un video con uno sfondo complesso? Eccolo qui: una libreria Javascript che fa esattamente questo, usando TensorFlow.js nel browser. C'è anche una Gif animata che mostra il prima e il dopo della rimozione in tempo reale su un flusso video di una webcam. La censura delle immagini era uno degli sport preferiti nell'Unione Sovietica soprattutto ai tempi di Stalin. Il che fa pensare ovviamente a George Orwell e a 1984, ma ne parliamo un'altra volta.
Le conseguenze del morbo – Foto © Antonio Dini
TSUNDOKU REGULAR
Perché, quando si comprano libri e non si leggono ma si accumulano e basta, c'è una parola (giapponese) per dirlo
< Il ballo di Irène Némirovsky è un classico del 1929 che racconta un dramma del sentimento, dell'ambizione, dell'amore. Graffiante. < Il volontario di Salvatore Scibona. Non fatevi ingannare dal nome dell'autore perché è americano. Il suo romanzo racconta una saga famigliare che passa attraverso la guerra del Vietnam e arriva sino ai giorni nostri, con personaggi che vengono modellati dalla loro storia e dalla vita. < Il collasso dell'impero e Lo stallo dell'impero di John Scalzi sono i primi due capitoli, pubblicati da Fanucci, di un ciclo che sino a questo momento è composto da tre libri. Il terzo volume si intitola The Last Emperox e uscirà tra qualche settimana negli Usa. Da noi temo che arriverà tra un anno o più. La serie si fa leggere con piacere. Ne avevo già parlato nel numero nove di Mostly Weekly ma vale la pena ricordarlo. Altri romanzi di fantascienza di Scalzi vengono pubblicati da Mondadori nella collana da edicola Urania.
TSUNDOKU POETRY ROOM
La stanza della poesia di Mostly Weekly
Libretto rosso di Stefano Crispini, "Contiene istruzioni per non morir d'amore" ed è un concept-album poetico che si muove lungo la distanza e l'autodifesa del vissuto sentimentale quotidiano, alla ricerca della trasformazione nel contrario: l'amore che manifesta il Sé.
I link non hanno alcuna affiliazione, puntano solo all'oggetto culturale citato.
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