May 24, 2020

[Mostly Weekly #64] a.k.a. il quadrato di otto, il cubo di 4, la sesta potenza di 2

Mostly Weekly #64


Il più piccolo numero con sette divisori e che è al tempo stesso un quadrato e un cubo perfetto
a.k.a. il quadrato di otto, il cubo di 4, la sesta potenza di 2
insomma, benvenuti nel numero 64 di Mostly Weekly

La newsletter omonima a margine del canale Telegram
(quella che esce quando è pronta)

A cura di Antonio Dini
Numero 64 ~ 24 maggio 2020 

"All of humanity’s problems stem from man’s inability to sit quietly in a room alone"

– Blaise Pascal 


In questo numero: 

  • Head
  • Body
  • Tsundoku Regular
  • Tsundoku Live
  • Tsundoku Poetry Room
  • Ludologia

 

HEAD

Sul minimalismo 
Il minimalismo secondo me è una buona idea. Voglio dire: ha senso e anche un discreto appeal. Ci sono le basi per dire che serve, soprattutto nel nostro tempo. Ma siamo andati troppo avanti, l'abbiamo portata all'estremo e adesso questa idea è diventata poco più di una moda e anzi, una specie di trappola psicologica per cercare di acchiappare la mente dei consumatori contemporanei: confusa e ingarbugliata da un sovraccarico costante di stimoli sintetici. E inoltre essere minimalisti è diventato un modo esibirsi, per far vedere quanto siamo avanti.

Secondo Jill Steinhauser di New Republic in alcuni ambienti il minimalismo è considerato una misura del buon gusto delle persone oltre che una opportunità per far vedere a tutti quanto si sia sofisticati. È diventato anche l'oggetto di molte prese in giro da parte dei cinici e degli scettici. Anche perché il minimalismo è indubbiamente una delle più grandi fortune nel mondo del design, dell'arredamento, della moda: fa vendere montagne di oggetti essenziali e costosi. Un gustoso ossimoro.

Poi, ci sono quelli che si proclamano "minimalisti" e dichiarano di poter togliere dalla propria esistenza tutta quella massa ingolfante di oggetti e carabattole varie che il capitalismo usa-e-getta (che poi non si usa e soprattutto non si getta) riesce a infilarci in casa e metterci addosso. C'è ad esempio chi dice di poter vivere con cento cose in tutto. E altri che rilanciano, dicendo che invece loro riescono ad avere una vita da favola con sole 75 oggetti. E infine c'è chi brucia tutti spiegando che vive benissimo con 35 essenzialissime cose, non una di più. Infatti, con l'illuminazione pubblica nelle strade neanche a Diogene serve più la sua lampada, no? 

Evidentemente c'è qualcosa che non va. Siamo creature complesse e gli eccessi, in qualsiasi direzione vadano, mostrano un disagio e un problema, non una soluzione e tantomeno un equilibrio. Il minimalismo inteso in questo modo è sostanzialmente un principio d'ordine che lavora soprattutto sulle nostre sofferenze e sui nostri sensi di colpa più che sul nostro gusto e senso estetico (ammesso che esista e che qualcuno di noi ce l'abbia). Il minimalismo come abito sociale (anzi, saio francescano) da vestire nella vita di relazione è quello commercializzato da Marie Kondo, che ti fa buttare via tutte le cose che non ti danno gioia. Perché, come dice il Vate di Fight Club, in realtà sono le cose che ti possiedono quando tu pensavi di possederle. E te ne rendi in qualche modo conto, soffrendone. Il minimalismo è quello che ti fa comprare cose semplici e chiare per trovare un gusto indiscutibile che nessuna educazione estetica ti ha mai offerto, per riempire di vuoti e quindi di luce degli spazi altrimenti poveri e deprimenti come chi li abita. Il minimalismo serve per riuscire, con meno soldi, ad arrivare più velocemente a uno status che possa essere esibito: basta prima passare dall'Ikea. 

Quello che mi chiedo, però, è che cosa potrebbe aver senso che fosse il minimalismo. Intendiamoci, ne apprezzo il senso e parte della mia vita ne trae anche ispirazione, però non posso certo definirmi una persona minimalista nell'accezione materiale e più tradizionale del termine: troppi metri quadri calpestabili, troppi oggetti, troppi libri, troppi vestiti, troppi pensieri, troppi aerei, troppe vite. Ma, se non è qualcosa per farsi belli con gli amici o (più probabilmente) per ingannare se stessi, svuotando le proprie vite e le proprie case, allora cos'è il minimalismo di cui parliamo così spesso? Può essere un'idea positiva, da valutare e magari interpretare?

Se consideriamo il minimalismo una scelta, secondo me è quella di ridurre il proprio impatto sull'ambiente, ma anche la scelta di vivere con "quanto basta". Dal punto di vista materiale, il minimalismo non ha a che fare con la quantità di oggetti, ma con la nostra attitudine: focalizzarci su quello di cui abbiamo bisogno anziché su quello che vogliamo. Vorrei un televisore da 52 pollici, ma ne ho bisogno? (No, non ne ho bisogno e non ci penso neanche a comprarlo). 

Il minimalismo per me, però, è anche un modo per tentare di ripulire il flusso dei miei pensieri rispetto al mio lavoro e in generale alla mia vita: mi chiedo se ci sono modi diversi, più semplici ed efficienti di affrontare i problemi e trovare le soluzioni. Per me il minimalismo di pensiero è anche la strada più diretta per arrivare a un obiettivo. È un'economia dei gesti. Vuol dire non tanto cercare di fare di più, bensì cercare di fare il meglio possibile, riducendo il tempo e lo sforzo necessari. Riducendo il più possibile gli ostacoli. 

Per le persone più visive e meno astratte (tipo me) questo si traduce anche nello scegliere strumenti essenziali nella forma, come iA Writer (visto che la cosa che faccio è scrivere: mostly I write...), ma soprattutto nel trovare ambiti di lavoro in cui ci siano meno burocrazia e procedure possibili. In cui la struttura sia leggera, perché i sistemi complessi si rompono più spesso e più facilmente, e richiedono un sacco di energia e tempo per essere tenuti insieme. 

Non solo nella nostra vita c'è poco tempo, ma ci sono anche poche energie mentali, emotive e fisiche: i principi di un minimalismo del pensiero consentono, secondo me, di limitare la costante emorragia provocata dalla società in cui viviamo. Almeno, cerco di fare in modo che sia così, con risultati certamente non ottimali, ma è un inizio.

Quindi, in questo senso, per me il minimalismo non è una corsa al meno, una specie di competizione al contrario sui beni materiali o un modo per proclamare al mondo quanto uno sia asceta. No, non lo è e non lo sono: mi sento tutt'altro che un asceta. Invece, per me il minimalismo è uno strumento, il più semplice possibile, necessario per capire cosa voglio. Quel che serve per vivere una vita che abbia senso, sia guidata da principi semplici e chiari e sia ragionevolmente comoda. Una vita più calma e privata, personale, rispetto al mondo che abbiamo attorno. Poi, certo: questa è la mia idea di minimalismo, non è necessariamente la vostra o di altri. Perdonatemi la banalità.    




Let's dance – Foto © Antonio Dini


 

BODY

Troppo troppo poco
Il New Yorker porta avanti una bella critica del minimalismo da un altro punto di vista. Superficiale, riassunto autoreferenziale in sedicesimi del capitalismo. E propone delle alternative (dopotutto sono americani: pensiero=azione). In ogni caso: “The worst versions of life-style minimalism frame simplicity not as a worthy end in itself but as an instrument – a tool of self-improvement, or of high-end consumption, or of self-improvement through high-end consumption.” 

Alt.Carriere
L'altro giorno stavo vagando qua e là in rete; stavo cercando per un amico un vecchio storico su Apple nel pieno della sua crisi: la storia di copertina di Wired del giugno del 1996 (grazie Internet Archive!). L'articolo è di Jim Daly, giornalista che non conoscevo tra quelli tech americani più importanti e che ho scoperto ha avuto una parabola professionale piuttosto interessante e sostanzialmente sottotraccia. In questa intervista del 2001 di BizReport Daly racconta il suo vero momento di gloria (che non era scrivere le cover story di Wired di Louis Rossetto, Jane Metcalfe e Kevin Kelly, pensa te!) cioè aver fondato, diretto e subito venduto Business 2.0, la rivista-simbolo (o "poster boy", come direbbero negli States) della New Economy. Sono queste vite altrui che mi fanno pensare a quante altre possibili traiettorie avrebbe potuto avere la mia. Pazienza, però è anche affascinante. 

Smart what?
Finalmente qualcuno che lo chiarisce: non abbiamo fatto tutti la rivoluzione dello smart working. Invece, siamo rimasti bloccati in casa durante una crisi di proporzioni epiche e ci siamo arrangiati per cercare di lavorare lo stesso, anche se la maggioranza delle aziende finirà sotto due metri di terra anziché a due metri di distanza. E con buona pace dei bambini i quali, nonostante la retorica nostrana ci provi, si sono presi una bella cignata anche loro. Per non parlare delle mamme che lavorano (e anche di quelle che no).

SimCity, ma sul serio
Il gioco pubblicato da Will Wright nel 1989 ha creato un intero genere. È stato anche considerato una aperta critica del capitalismo liberista, oppure uno dei suoi principali alfieri. Eppure SimCity è una simulazione approssimativa, caricaturale, come diceva lo stesso Wright: «SimCity was always meant to be a caricature of the way a city works, not a realistic model of the way a city works.» Ecco qui la storia di SimRefinery, la versione "business" del gioco che aggiungeva un livello di realismo notevole e che, nonostante non sia mai stata finita, è stata usata anche alla Casa Bianca per simulare come funzionano le città. 

Unofficial API
Se davvero siamo in una API economy, questo non saprei come definirlo. Un mercato nero? Una specie di spaccio all'ingrosso un po' illegale? Il paradiso della brugola? Questo repository di GitHub contiene un'ampia collezione di API non ufficiali, il linguaggio in cui sono scritte, quante stelle gli hanno dato gli altri utenti di GitHub e la data dell'ultimo commit. Ci sono API per Instagram, TikTok, Robinhood, iMessage, Tesla e molte altre. Un tesoro dei pirati esposto in un'isola tutt'altro che deserta.

Il tempo e il suo contrario
Non so se è una di quelle cose che occupano lo spazio di quello che una volta sarebbe stata una breve sui giornali e che poi scopri fra vent'anni che hanno cambiato il mondo per come lo conoscevamo, oppure è solo una piccola macchiolina in un enorme affresco puntinista. Comunque, gli scienziati della Nasa (e chi altri sennò) hanno trovato le tracce di un universo parallelo in cui il tempo scorre all'indietro. Durante un esperimento nell'Antartide, nientemeno. Il tutto grazie a particelle intercettate che vanno all'indietro, appartengono a un reame differente dal nostro (parallelo? forse) e comunque nato al tempo del Big Bang. A me fa pensare a “Quando i Neutri emergono dalla Terra” di Bob Shaw. 

Pixel Art
Se volete partecipare, si sono aperte le iscrizioni all'edizione 2020 di Shibuya Pixel Art (pulsante per la traduzione automatica in varie lingue in alto nella seconda schermata), il concorso che quest'anno ha come temi Shibuya stessa, le AI, l'umanità, e i game e/o i panorami. Qui se ne parla di più. È un pezzo di mondo (giapponese) che fa arte nel passato. 

La voce del padrone
Ok, questo secondo me cambia tutto. Seguite il mio ragionamento. Allora, dei ricercatori del Social Robotics Lab di Yale stanno cercando di capire se i cani vedono i robot più come esseri umani o più come oggetti. Nello studio hanno osservato i cani mentre ricevevano istruzioni da robot di forma umanoide attraverso degli altoparlanti incorporati. Hanno scoperto così che i cani sembrano rispondere ai robot, ma sono necessarie delle ulteriori analisi per capire per bene esattamente a cosa rispondo i robot: al "padrone per telefono" o al robot in quanto tale? C'è anche un breve video che mostra come funziona. Ecco, il punto è questo: se per degli esseri senzienti e sofisticati come i cani, fortemente empatici verso la razza umana (ricordate che è l'empatia la base del loro addomesticamento rispetto alle specie selvatiche?), si abituano e seguono i robot sostanzialmente antropomorfizzandoli, si aprono capitoli nuovi sia per lo studio dell'intelligenza in generale e di quella dei cani in particolare, che per quanto il modo con il quale possiamo progettare esseri artificiali che andranno a finire dentro le nostre vite (e non solo). 

Digital Overload
In Gran Bretagna hanno fatto uno studio e hanno visto che in media le persone spendono circa 34 anni della loro vita guardando degli schermi: tv, computer, smartphone. E un sacco hanno problemi agli occhi. A parte interessanti banalità come: "si guarda più lo schermo del computer che quello televisivo", e l'ovvia ragione che la ricerca fa impressione, c'è poco altro da aggiungere. Se non che bisognerebbe fare una pausa di venti secondi ogni venti minuti, alzando lo sguardo e puntandolo su qualcosa di lontano per altri venti secondi.

Pinna gialla
Sono sempre affascinato dai vari laboratori - oggi si chiamano startup - che se ne escono fuori con carni sintetiche, cioè cresciute in fabbrica e non nelle stalle o nelle vasche. Ad esempio, a San Diego una startup del settore food-tech "ha fatto" una carne di tonno pinna gialla che a quanto pare è buona come quella vera. Si può affumicare, cuocere, marinare, anche mangiare cruda. Magari poi ti spunta una pinna gialla a te che la mangi, o forse ai tuoi figli, chissà. La carne c'è già ma verrà commercializzata tra due anni. Sembra fantascienza ma fa parte di quella serie di prodotti alimentari che vengono realizzati in sintesi: dallo yogurt greco ai Fonzies e gli Oreos, il ketchup e via dicendo. 

Donald Knuth
Ho scritto più volte di TeX, LaTeX e di Donald Knuth. Penso di essere stato il primo giornalista italiano ad averne scritto su giornali "mainstream". L'uomo è anziano, non finirà mai quella che potremmo definire la struggente opera di un solitario genio (che poi tanto solitario non è) e io temo che non riuscirò mai a intervistarlo. Peccato, ne sarebbe venuto fuori un racconto interessante. E in realtà sarei molto curioso di conoscerlo. Qui c'è chi l'ha fatto di recente.

Pi
Come mi ha detto un amico l'altro giorno, "adesso devi dedicartici". Il che è contemporaneamente vero e complicato, perché sono uno solo e il tempo è poco. Comunque, il Raspberry Pi, il piccolissimo computer made in UK, sta vendendo come un matto in piena pandemia e lockdown. Perché è il computer in più che costa pochissimo e permette di fare molte, molte cose. 

Miao
E tu che gatto sei? I tipi umani che partecipano alle infinite e innumerevoli videoconferenze di questo periodo surreale, illustrate attraverso tipologie di gattini e gattoni. Come Mr. Muffin, che è convinto che lo si possa sentire se, quando parla, mette tutto il suo muso dentro la videocamera. 

Copia e incolla
Un applicativo in forma di prototipo che utilizza la videocamera di un telefono per fare la foto di un oggetto reale, scontornarlo e appiccicarlo dentro un progetto in Photoshop. Qui il tweet con un breve video che mostra come funziona.

Numeri
Se dovete lavorare con i numeri ma non vi basta/piace Excel perché vi siete resi conto che è "un" modo per lavorare con i numeri, non "il" modo, date un'occhiata a Causal. Una web app per costruire modelli e condividerli con delle dashboard visive che sono interattive e decisamente comprensibili. Il video sul sito spiega tutto.

Programmare e cucinare
Provate a seguirmi. Robin, quando l'app che la sua famiglia usava non è stata più aggiornata e quindi non più utilizzabile su dispositivi più recenti, ha deciso di sviluppare il suo rimpiazzo. Ha fatto una analisi per capire quali erano le funzioni fondamentali della app e in una settimana l'ha sviluppata da capo. La sua famiglia la adora. Questo approccio alla programmazione, secondo l'autore, è paragonabile alla cucina in casa rispetto ai ristoranti. L'analogia serve a far emergere i differenti tipi di bisogno della cucina in casa rispetto all'attività di un ristorante. Interessante approccio. 

Games 
Il Solitario di Microsoft è stato fatto per far fare qualcosa a chi aveva appena comprato un Pc e soprattutto per insegnarli a usare il mouse, una specie di addestramento travestito dalla gamificazione. Compie 30 anni ma viene ancora usato ogni giorno da 35 milioni di persone. Intanto, Pac-Man ha compiuto 40 anni: qui una lista di cose che forse non sapete sul gioco progettato da Toru Iwatani per la Namco.

Freelancers
Mettersi in proprio nel mondo del software. Mossa strana perché gli sviluppatori dipendenti guadagnano in media un sacco di soldi, soprattutto se non lavorano per i colossi americani (che li disintegrano psicologicamente, a quanto pare). Comunque, questo particolare freelance ha preso appunti di tutto quel che è successo durante il suo primo anno e spiega come ha fatto, come si è trovato, cosa ne ha concluso. 

Colloqui di lavoro hi-tech
Dicevo sopra che lavorare come ingegnere del software per i big del tech può essere devastante. In questo articolo piuttosto lungo si rende conto di come sia assurdo e surreale, oltre che competitivo, il mondo dei colloqui di lavoro per andare a lavorare da queste aziende. Soprattutto, il colloquio di lavoro ha poco a che fare con le competenze richieste per il lavoro vero e proprio, richiede abilità nel gestire le relazioni con il mondo delle grandi aziende che non c'entra niente con il lavoro in quanto tale, e nel complesso fa schifo.

Base Luna
Il Geological Survey americano ha rilasciato la prima mappa completa della Luna, in scala uno a cinque milioni. La mappa utilizza i colori per far venire fuori le varie caratteristiche geologiche del "terreno" (del "luneno"?). È stata creata da un mix di immagini dell'epoca delle missioni Apollo e foto satellitari più recenti. Totalmente inutile, assolutamente bellissima. 

Base Terra
Intanto, un po' di tempo fa Google ha rilasciato più di mille immagini molto belle del nostro pianeta, che fanno parte della collezione Google Earth View. Adesso in totale ci sono 2.500 panorami ottimizzati per gli schermi 4K che vanno di moda e possono fare da salvaschermo o da sfondo della scrivania per il super-televisore di casa come per lo smartphone. Se utilizzate Chrome (io no) ci sono delle modalità di esplorazione interattiva che dicono essere interessanti. 

Densità
Mi mancano moltissimo Hong Kong e Tokyo. Mentre la seconda rimane sostanzialmente intatta e spero un giorno visitabile ancora, la prima è un problema maggiore, vista anche l'evoluzione politica tutt'altro che favorevole. Nelle scorse settimane la Cnn aveva pubblicato questa storia su come sia praticamente impossibile il distanziamento sociale in una città fatta di appartamenti che sembrano delle celle. Gli appartamenti da 30 metri quadrati sono la regola, ma nove persone su dieci vivono in una porzione di 20 metri quadrati, pagando peraltro degli affitti tra i più alti al mondo. Nelle megalopoli asiatiche l'idea è che vivi in una casa piccola perché la tua cucina è il ristorante in fondo alla strada, la tua cabina armadio il negozio di abbigliamento, il tuo soggiorno è nel centro commerciale a due fermate di metro. Adesso che tutti sono compressi non credo che neanche l'autodisciplina (leggi: auto-repressione) asiatica sia capace di tenerli psicologicamente assieme. 

Sindrome da assedio
In questo articolo della giapponese Nikkei Asian Review l'autore cerca di andare in profondità su un concetto intrigante: la totale chiusura psicologica della Cina potrebbe dipendere da un fantasma che si muove nel suo passato: la rivolta dei Boxer. È un articolo di taglio quasi europeo per la capacità di andare in profondità e la complessità dell'analisi culturale, per quanto totalmente qualitativa. Il ché apre in maniera proustiana un po' di ricordi del giornalismo che ho conosciuto e praticato negli anni Novanta lavorando nelle redazioni esteri di un paio di giornali. In una in particolare, quella del Sole 24 ORE, ho conosciuto una generazione di giornalisti che poi hanno seguito strade molto diverse. Uno, Stefano Carrer, con cui condividevo una viscerale passione per il Giappone, è morto pochi giorni fa. Il mio ricordo erano i suoi pezzi da mettere in pagina e passare quando arrivavano da Tokyo a Milano, di solito molto presto per via del fuso. 

Acquari
Ok, non so niente della sua storia, sembra un gioco di simulazione che viene diritto dagli anni Ottanta-Novanta. Ma una cosa posso dirvela: questa palla dei pesci rossi è ipnotica, dà dipendenza. Il miglior spreco di cicli di cpu dell'anno. Se volete approfondire il tema, ci sono anche piante sigillate 50 anni e più all'interno di una boccia di vetro, e campano grazie alla luce del sole

Charme unique
Quando sono di fuggire, chiudermi in casa e non fare altro che leggere e scrivere, cioè pensare, immagino di farlo in una casa fatta così.



Bear a resemblance to - Foto © Antonio Dini



TSUNDOKU REGULAR
Perché, quando si comprano libri e non si leggono ma si accumulano e basta, c'è una parola (giapponese) per dirlo

Permutation City di Greg Egan è un romanzo cyberpunk della metà degli anni Novanta che fa sembrare Matrix una passeggiatina nel bosco, l'antipasto prima della pietanza. In Italia è stato pubblicato da Shake Edizioni, quindi in bocca al lupo a ritrovarlo. Qui c'è un gustoso assaggio in inglese. L'idea di fondo è che la nostra coscienza sia solo un pattern di informazioni, e come tale estraibile e manipolabile con i computer. Vi avevo detto Matrix, no? 

Commodore: A Company on the Edge di Brian Bagnall lo aggiungo solo perché questo è il numero 64 di Mostly Weekly e non si può non citare/omaggiare il Cbm 64 no? Tuttavia, ho letto la prima edizione di questa biografia di Commodore e Jack Tramiel con notevole soddisfazione una vita fa. Insomma, è di rigore segnalarlo questa domenica ma questo non vi faccia pensare che non sia anche consigliato. In Italia lo hanno più o meno tradotto

Storia di un boxeur latino di Gianni Minà. È l'autobiografia di uno dei giornalisti più imitabili (da ragazzini la sua lisca e il suo modo schematico di presentare in televisione era una gioia da sbeffeggiare) e meno conosciuti e capiti degli anni settanta-ottanta-novanta. Minà ha avuto l'ambizione quasi bulimica di cercare di fare cose incredibili e molte di queste cose le ha poi fatte, anche se la sua dramatis personae, totalmente mancante della gravitas necessaria, non ce ne fa accorgere. La sua autobiografia si può leggere anche come un viaggio all'incrocio tra le passioni e le ossessioni di un uomo e la "coincidenza" con cui alcune di queste hanno modificato e ridato forma alla nostra cultura e ai nostri immaginari, nel millennio scorso. Perché sì, Minà era veramente sul pezzo. Anche se probabilmente è stato uno di quegli uomini che ha vissuto una vita incredibile ma con il tempo sbagliato, in levare anziché in battere. 

Boris. Su Netflix è tornata la serie televisiva "cult" (la definiscono tutti così) che racconta un'Italia ogni anno sempre più attuale. Pazzesco. Me la sto riguardando tutta: la prima stagione, come succede spesso nei prodotti italiani, è la migliore. È il veleno più dolce e consolatorio che abbia mai assimilato. Qui la reunion.


TSUNDOKU LIVE
Giusto quel paio di vecchi classici che vale la pena ascoltare ancora

New York Jazz di Relax Cafe Music su YouTube. Quando lavoro ho l'abitudine di ascoltare musica. L'unica regola è che non deve essere italiana (sennò mi distraggono le parole: la musica straniera non ce la fa a bucare la mia soglia dell'attenzione) e possibilmente pensata per fare da sottofondo. La musica jazz nella variante "da locale" è pressoché perfetta. Su YouTube ho trovato decine di compilation che durano parecchie. Questa da dieci ore (!) è la mia preferita. Me la sono messa in locale (mezzo giga di mp3, mica cotiche) per quando non sono connesso oppure uso i dati del telefonino. Seguendo Relax Cafe Music, l'autore della raccolta, si trovano anche altri generi e ritmi. Se avete un ristorante, la sala d'attesa di uno studio dentistico, una lobby di un palazzo o anche solo un ascensore, avete trovato la vostra sorgente magica. 



TSUNDOKU POETRY ROOM
La stanza della poesia di Mostly Weekly

*Microliti di Paul Celan è una raccolta di aforismi, abbozzi narrativi e frammenti di poetica: "Solo le loro lame rimasero lucide e si facevano così male, che ai padrini si arrestarono i cuori".


LUDOLOGIA
Enjoy the game

The Legend of Zelda: Breath of the Wild per Nintendo Switch (ho messo il link alla guida e non al gioco perché serve una enciclopedia per muoversi in quell'avventura). Il gioco, di tre anni fa, è un capolavoro assoluto: titolo di lancio della Switch, è un open world dove ci si può tranquillamente perdere. Comprarlo è un atto di fede e di riconoscenza perché, se non avete l'attenzione monomaniacale di un ragazzino di 12 anni e un miliardo di ore a disposizione per voi sarà più o meno una passeggiata in un mondo esotico popolato di scogliere e di mele. Se volete ripercorrere un po' la storia di Nintendo e della Switch vi consiglio di partire da questo articolo (che avrei voluto scrivere io), e per poi farvi una idea di questo Zelda magari leggere questo che spiega come la mappa di Breath of the Wild’s sia basata sulla città di Kyoto. E poi, per maggior diletto, potete anche leggere qualcosa su Animal Crossing, sul suo successo durante la pandemia e gli strani usi che ne vengono fatti. 
 

I link non hanno alcuna affiliazione, puntano solo all'oggetto culturale citato.
 

“A man must love a thing very much if he practices it without any hope of fame or money, but even practice it without any hope of doing it well. Such a man must love the toils of the work more than any other man can love the rewards of it.”
– G.K. Chesterton.


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